giovedì 31 marzo 2011

I Ponti della Discordia

Per quale motivo esistono i ponti, se non per unire? Questa sembra una domanda superflua eppure, in ben due circostanze, mi è capitato di trovarmi in luoghi in cui la funzione unificatrice dei ponti veniva negata. Entrambi i luoghi si trovano nella ex-Jugoslavia, ed entrambi sono stati testimoni di orrori e scontri etnici.

Il ponte di Mostar è forse il simbolo delle guerre che negli anni ’90 hanno insanguinato i Balcani. La cittadina di Mostar tra il proprio nome proprio dal suo ponte (Stari Most o vecchio ponte) costruito dai turco-ottomani nel ‘500 e “difeso” dai Mostari, due torri che ne fortificano gli accessi. La cittadina di Mostar ha suo malgrado subito gli attacchi da parte di tutti i principali attori della lunga guerra balcanica. In seguito alla dichiarazione d’indipendenza da parte della Bosnia Erzegovina, nel 1992 le truppe serbe e montenegrine bombardarono la città dalle alture che la circondano per ben nove mesi, stringendo d’assedio la popolazione bosniaca croata e musulmana. L’assedio fu respinto, ma l’anno seguente le bombe serbe furono rimpiazzate da quelle croate. La popolazione musulmana subì diversi violenti attacchi che distrussero, oltre numerosi altri edifici, il ponte. Per ben tre anni le due popolazioni rimasero separate e divise anche geograficamente.


Lo Stari Most è stato ricostruito nel 2004 utilizzando materiali e metodi medievali. E’ stato immediatamente dichiarato patrimonio dell’umanità e rivestito di forte potere simbolico. Il fiume Neretva divide ancora oggi gli insediamenti croati (o semplicisticamente “cattolici”) da quelli bosniaci (o musulmani). Entrambe le fazioni vivono all’interno della Federazione croato-musulmana di Bosnia Erzegovina. L’influenza delle due culture sulle due sponde del fiume è fortissima. La riva cattolica si presenta moderna, pulita e stretta intorno all’enorme cattedrale, che sembra essere stata eretta più per affermare un’identità etnica piuttosto che rappresentare un luogo di culto. La sponda musulmana è invece disordinata, caotica, e reca ancora chiaramente i segni dei bombardamenti subiti. Abbondanti sono le macerie e numerosi sono gli edifici butterati dai proiettili. Nel complesso Mostar è una cittadina da visitare. I lavori di ricostruzione l’hanno resa decisamente gradevole ed aperta al turismo. Entrambe le comunità sono accoglienti, anche se al freddo rigore e ordine croato si lascia preferire l’allegra confusione piena di vita dei musulmani.


Se lo Stari Most rappresenta il teatro di un conflitto se non proprio concluso almeno sospeso, il ponte di Mitrovica continua ancora oggi a dividere due comunità in conflitto. I più recenti scontri tra la comunità serba, che abita la metà nord della città, e quella albanese, che vive nelle parte sud, risalgono al 2009. L’unico legame che unisce le due sponde del fiume Ibar è il ponte di Mitrovica, sorvegliato 24 ore su 24 da un distaccamento delle Nazioni Unite. Per attraversarlo è necessario esibire un documento di identificazione e spiegare le ragioni dell’attraversamento. Soltanto la presenza delle truppe internazionali impedisce che le due comunità entrino in contatto. Ad acuire la tensione che aleggia sulla città è lo status del Kosovo, appena dichiarato indipendente ma mai riconosciuto da Belgrado, che continua a considerarlo una regione della Serbia. I serbi di Kosovo, che si trovano a Mitrovica nord, respingono l'etichetta di "kosovari" e colgono tutte le occasioni possibili per riaccendere le ostilità. Anche qui il passaggio da sud a nord è netto: a sud moschee, segnali in caratteri latini e si beve rakì, a nord chiese ortodosse, caratteri cirillici e ci si ubriaca di slivovica. Ed è la stessa città. Scattare fotografie al ponte, come a tutti i presidi militari, è severamente vietato.


La fotografia di questo post è stata rubata nel 2003, e soltanto l’intervento di “mësuese” Annamaria, francofona volontaria RTM ai tempi di Klina, ha evitato che i militari francesi, accortisi del misfatto, distruggessero la pellicola della mia macchina fotografica.


M.L.

domenica 13 marzo 2011

Immigrato a chi?

Prima di esprimere giudizi sulla questione immigrazione ci si dovrebbe porre la seguente domanda: "Se ci trovassimo nelle loro condizioni, noi cosa faremmo?". O meglio: "Quando ci siamo trovati nelle loro condizioni, noi cosa abbiamo fatto?". La prospettiva sarebbe radicalmente diversa ed impareremmo a trattare i popoli migranti come avremmo voluto essere trattati noi.