lunedì 25 gennaio 2010

Bomalang'ombe Football Club

Non ho mai trovato sistema migliore per instaurare velocemente una relazione con un africano di una combattuta partita di calcio. Non c'è niente di meglio che mescolare sudore e fango per cancellare ogni problema di lingua, razza e religione.
Il mio primo impatto con il calcio africano non è stato però il massimo. Revel, Francia, torneo giovanile internazionale di calcio. Otto squadre, tra cui la mia, la magica Edelweiss. Si giocavano partite brevi di 45 minuti, e il match di esordio fu contro la rappresentativa under 16 delle isole Mauritius. Erano nostri pari età, ma erano mediamente alti circa venti centimetri in più. Fu un massacro. Conservo nitidamente il ricordo del calcio di inizio della partita, battuto direttamente calciando nella nostra porta e colpendo la traversa. Finì 4 a 0, ma credo che per loro fu soltanto una sgambata, mentre per noi fu una prova sovraumana. Alla fine del torneo loro si piazzarono secondi, noi ultimi.

Avvertii la stessa sensazione di strapotere fisico nelle successive esperienze in Zambia e Madagascar. In Zambia toccai a malapena il pallone, ma mi consolai al pensiero che lo Zambia è una tra le nazioni calcisticamente più forti dell'Africa. In Madagascar invece feci una discreta figura e addirittura segnai il gol del pareggio, forse perché i malgasci con cui giocai, seppur eccezionali corridori, erano gracilini di costituzione e praticavano un calcio decisamente alla mia portata.
Ma il vero punto di svolta del mio rapporto con il calcio africano avvenne in Tanzania. In due anni ebbi modo di comprendere appieno lo stile africano di giocare e soprattutto le tecniche affinchè un bianco medio possa inserirsi degnamente in una partita tra africani.
Durante la stagione secca giocavo costantemente tutte le settimane. Le partite erano frequentate da ragazzi di ogni età ed in numero variabile. Quando non si raggiungevano i ventidue giocatori, il campo veniva accorciato e una porta veniva sostituita da una porticina delimitata da due mattoni. La cosa più curiosa è che, mentre una squadra per segnare doveva logicamente far passare il pallone nella porticina di mattoni, l'altra doveva colpire o i pali o la traversa della porta grande. Lascio giudicare a voi cosa fosse più difficile.

Come ho detto, nel corso delle partite appresi la tecnica per giocare con ragazzi fisicamente più dotati di me. Gli africani in generale adottano il sistema di gioco "palle lunghe e pedalare", assolutamente improponibile per un atleta mediocre come me. Se sotto il profilo della corsa non c'era storia, sul piano tattico e tecnico potevo dire tranquillamente la mia. Per cui mi sistemavo nelle zone nevralgiche del campo e facevo gioco, abbandonando in partenza il confronto puramente agonistico per concentrarmi sullo smistamento della palla e le conclusioni in porta. Questo sistema si rivelò estremamente efficace, tanto che ben presto fui incluso nella rappresentativa del villaggio.
Per il villaggio di Bomalang'ombe fu una vera fortuna quella di avere un giocatore bianco tra le sue fila. Innanzitutto fornivo maglie e pallone, e poi il pick up dove caricavo tutta la squadra nelle trasferte negli altri villaggi. A pensarci bene, questi due aspetti potevano influire pesantemente sulla mia convocazione nelle partite tra villaggi…
Poi c'era anche il fattore del prestigio, e cioè che il Bomalang'ombe era l'unica squadra che poteva vantare un calciatore straniero!

Le partite tra villaggi venivano organizzate la domenica, ed erano eventi partecipatissimi e molto attesi da parte di tutti gli abitanti. Prima della partita venivano diffusi avvisi perché i tifosi accorressero numerosi, ed il risultato veniva commentato per giorni. Ad ogni partita si presentavano non meno di duecento persone, le quali incitavano, cantavano e ballavano per tutto il tempo. Un vero spettacolo. La mia presenza veniva accolta con curiosità, ed ogni mia caduta accompagnata da risa e grida. Non credo di avere mai provato così forte la sensazione di essere "diverso" come nelle partite della domenica. Ma imparai presto a fregarmene.
Le due partite che ricorderò per tutta la vita furono anche quelle in cui segnai. A prima fu in casa contro il Masisiwe. I giocatori del Masisiwe, per scaldarsi, vennero di corsa dal loro villaggio, che distava 15 km. Dopo la partita, sempre di corsa, vi fecero ritorno.
Segnai il gol del 2-0, e ricordo di essere impazzito per l'esultanza e di aver travolto alcuni bambini che guardavano la partita vicino alla porta. Andai ad abbracciare l'autista del progetto (tifoso sfegatato) e fui festeggiato da tutta la squadra. Per settimane si parlò del primo bianco ad aver segnato in una partita tra villaggi.

La seconda partita memorabile fu contro l'acerrimo rivale, il Mwatasi, giocando fuori casa. Come sempre fu un match molto combattuto e l'arbitro molto contestato. Segnai il gol del 2-1, ma la palla, dopo essere entrata, colpì un tifoso che si trovava dietro la porta e ritornò in campo. Noi esultammo, ma l'arbitro fu ingannato da questo rimbalzo e annullò il gol. A questo punto si scatenò un'immensa rissa (evento estremamente frequente) e noi abbandonammo indignati il campo. Lungo tutta la strada del ritorno, i giocatori assiepati nel cassone del pick cantavano orgogliosamente la frase "I nostri giocatori arrivano dall'Europa!". Un vero momento magico.
M.L.

martedì 12 gennaio 2010

I Babbuini del Samburu

La visita alla Riserva Nazionale di Samburu, situata nel Kenya settentrionale, risale al Settembre 2006. Samburu è un parco molto affascinante, estremamente arido ad eccezione di una fascia di vegetazione lussureggiante prossima al fiume Ewaso Ngiro. Le ragioni che ci spinsero a dirigersi verso questa meta (piuttosto lontana e scomoda da raggiungere) furono la possibilità di avvistare cinque specie di animali assolutamente uniche (gerenuk, giraffa reticolata, zebra di Grevy, orice e faraona somala) e la certezza di fotografare il leopardo (il parco è piccolo è i leopardi qui sono meno schivi).

Le nostre aspettative furono ampiamente premiate, ma il ricordo che si impresse nella maniera più nitida fu relativo ad un episodio che ebbe come protagonisti i babbuini che affollano i campi tendati riservati ai turisti.

La presenza dei babbuini intorno al bivacco in cui ci sistemammo fu fin da principio molto invadente. Ogni pasto veniva preceduto ed accompagnato da scorribande da parte dei più temerari. Vi garantisco che non è piacevole ricevere, nel corso della colazione, la visita di un animale di 25 Kg lanciato a piena velocità sopra la tavola con il solo scopo di contendervi la fetta di pane abbrustolito!

Il risultato fu che un membro dell'equipe che ci accompagnava dovette essere impiegato a proteggere la cucina e la tavola da sgradite invasioni, con risultati, per la verità, piuttosto scarsi. Questi pericoli sussistevano nel corso della mattina e delle prime ore pomeridiane. Con l'avanzare del pomeriggio i babbuini sospendevano l'assedio scomparendo completamente, per poi ripresentarsi il mattino successivo. Questo comportamento è collegato all'esigenza di difendersi dagli attacchi notturni dei predatori, cosa che riesce più semplice radunando il branco in un luogo riparato e facilmente sorvegliabile.

L'episodio che tanto ci colpì si verificò con l'arrivo al nostro campo di una folta comitiva di turisti americani.

La comitiva arrivò circa a mezzogiorno e si sistemò rumorosamente in riva al fiume nei pressi dei servizi igienici del nostro campo tendato. Il mio gruppo si trovava in quella zona per osservare curiosi cercopitechi ed alcuni buceri particolarmente inclini a posare per le nostre macchine fotografiche, e ricevemmo i neo arrivati con freddezza, consci che la tranquillità era ufficialmente terminata. Mentre gli americani iniziarono a consumare il proprio pasto placidamente seduti in riva al fiume, notai che i babbuini si stavano avvicinando con sempre maggior interesse. Già immaginavo l'epilogo, ma questa volta i babbuini cambiarono tattica. Il più grosso del branco prese in mano una pietra e corse verso un albero. Gettò la pietra dentro una cavità della pianta e poi se la diede a gambe in gran fretta. Immediatamente dalla pianta si levò un enorme sciame di api che si avventò sui bersagli più immediati, ossia gli sventurati americani. Questi ultimi, in preda al panico, abbandonarono il loro pasto agitando le braccia per allontanare le api nel vano tentativo di evitare le punture. Due membri del mio gruppo, già punti decine di volte, furono costretti, essendo la strada delle tende sbarrata dallo sciame, a rifugiarsi all'interno dei servizi e ad attivare le docce per difendersi dall'ira delle api. Chi tentava di avvicinarsi per recuperare gli oggetti personali veniva immediatamente respinto dalla furia degli insetti.

Una volta che tutti i rappresentanti della specie umana ebbero abbandonato la scena, i babbuini si avventarono sui pasti abbandonati e presero a consumarli tranquillamente sul posto, del tutto indifferenti alle api, probabilmente grazie allo folta peluria di cui sono provvisti questi primati. Tutto il succedersi degli eventi era stato evidentemente calcolato in precedenza ed eseguito con premeditazione, e sicuramente applicato già in altre circostanze.

Purtroppo il nostro veicolo era rimasto aperto proprio in prossimità del fiume per essere lavato. Dopo il pasto fu quindi il turno del mezzo, in cui i babbuini entrarono trasformando ogni oggetto che trovavano in gioco, devastando poi gli interni ed i sedili.

Quando lo sciame delle api placò la sua ira e decise che vendetta era compiuta, tornò nella cavità dell'albero. I babbuini, persa la protezione delle api, si allontanarono di conseguenza. E agli umani non rimase che raccogliere ciò che restava del bivacco, pulire l'auto da escrementi e detriti vari, medicare i feriti e recuperare i due sventurati che si erano rifugiati sotto la doccia.

Astuti babbuini!


M.L.

lunedì 4 gennaio 2010

Il Senso del Viaggio (2)

Occorre completare il discorso iniziato con il post precedente. Esiste una seconda categoria di viaggio, a me del tutto estranea, caratterizzata dal confronto tra l'uomo e la natura. Si tratta della ricerca del limite umano, condotta allo scopo di misurare se stessi in condizioni di estrema difficoltà e pericolo.
Non possedendo uno spirito che aneli a questo genere di esperienza, mi affido alle parole di Ambrogio Fogar, esploratore e avventuriero che ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca del limite estremo. Dopo innumerevoli imprese, tra le quali la circumnavigazione del globo, la conquista del Polo Nord a piedi e diverse Parigi-Dakar, all'età di 51 anni rimane vittima di un incidente con il suo fuoristrada da cui esce paralizzato e costretto alla sedia a rotelle. Questo tragico avvenimento non interrompe la sua sete d'avventura, e nel corso di una delle ultime imprese della sua vita scrive le righe che seguono.

Se sei pronto ad affrontare le pene dell'inferno, a piangere di rabbia, di fatica e di paura.
Se sei pronto ad afferrare con i denti e le unghie la vita che il mare sembra strapparti.

Se sei pronto a non dormire e a non mangiare per qualche giorno e a stare fuori al timone della tua barca sotto frangenti che periodicamente la spazzano facendoti vivere costantemente fradicio perché il pilota automatico è in avaria.
Se sei pronto a controllare i tuoi nervi quando di notte l'urlo del vento e le muraglie di acqua aggrediscono la tua barca.
Ecco, se sei pronto a tutto questo, allora parti amico mio.

S
e sei pronto a sopportare il peso di un cielo grandiosamente bello, che ogni sera cambia colori soltanto per te e ti offre rosa e azzurri inimmaginabili e il fuoco e l'oro del sole schiacciato all'orizzonte da gigantesche nuvole nere piene.
Se sei pronto ad apprezzare il suono del vento nelle vele, il canto dei delfini, l'immobilità apparente dei gabbiani stampati nel cielo.
Se sei pronto a lasciarti trapassare l'anima da un cielo stellato.
Se sei pronto a rimpiangere di non poter condividere con il tuo amore questa enorme bellezza.

Ecco, se sei pronto a tutto questo, allora parti amico mio.
N
on dimenticare però che esiste una legge che non si può aggirare: puoi lasciare ogni tipo di bagaglio sul molo prima di partire, ma non puoi lasciare te stesso.
Ecco se sei pronto a tutto questo, vai, amico mio, e torna per raccontare.

M.L.