mercoledì 6 febbraio 2008

La Pioggia di Ikondo

Chi ha vissuto in un paese tropicale la conosce. Essa è, a tutti gli effetti, quell'insieme di precipitazioni che vanno sotto il nome di piogge monsoniche o stagione della piogge.
Questo fenomeno ciclico si verifica in tutte nazioni bagnate dall'Oceano Indiano durante l'estate australe, quando cioè masse d'aria sature dell'umidità dell'oceano vengono spinte verso la massa continentale asiatica fino alla catena dell'Himalaya, dove vengono spinte verso l'alto per poi ricadere sotto forma di pioggia.
Ciò accade, in Tanzania, per sei mesi all'anno, da Novembre a Maggio. A Maggio i monsoni cambiano direzione, determinando l'inizio dell'inverno australe. In quel periodo i continenti sono più freddi dell'oceano e quindi i venti spirano da terra verso il mare, determinando una stagione caratterizzata da clima secco e mancanza di pioggia.
Questi avvenimenti climatici incidono in maniera profonda sulla vita delle popolazioni che si trovano in queste aree. Le piogge segnano la stagione dell'agricoltura e delle attività da cui deriveranno i mezzi di sostentamento per tutto l'anno. Tutti, ma proprio tutti i tanzaniani, si recano ai campi per piantare mais, patate, girasoli, fagioli e piselli. Anche chi lavora in città ricoprendo magari incarichi di tutto rispetto e lucrativi, ha qualcuno a casa che lavora i campi per lui. Il distacco dall'attività agricola non sembra essere ancora avvenuto, anche in molti contesti urbani.
In alcune regioni della Tanzania piove pochi giorni ed in maniera imprevedibile, complicando immensamente la produzione di alimenti. Ecco che allora la selezione attuata dall'uomo ha "donato" colture che resistono alla siccità, come il sorgo, il sesamo, la manioca, il miglio e l'arachide.
L'umidità che caratterizza la stagione delle piogge determina inoltre le condizioni ideali per l'esplosione demografica della popolazione di insetti, e fra questi del più temibile insetto del mondo, la zanzara Anopheles, il vettore della malaria. Questo è infatti il periodo in cui si ha il picco dei casi e, purtroppo, delle morti a causa di questa malattia.
Le piogge abbondanti sono poi alla base di alcuni ecosistemi molto particolari che si trovano in Tanzania. Le correnti monsoniche, incontrando i rilievi delle Montagne dell'Arco Orientale, causano delle precipitazioni eccezionali sulle pendici di questi monti e alimentano alcune delle foreste pluviali meno conosciute del nostro pianeta. Queste foreste trattengono l'acqua di precipitazione e la rilasciano gradualmente nel corso del periodo secco; sono quindi veri e propri bacini idrici fondamentali per la protezione di corsi idrici e sorgenti.


Questa è la teoria, ed è alla portata di tutti.

Vivere una stagione delle piogge da straniero invece comporta tutta una serie di controindicazioni che non sono riportate nei libri. Se la si trascorre poi in un villaggio sperduto, beh, si può parlare di masochismo puro e semplice.
Ikondo è un piccolo villaggio distante tre ore di sterrato (la distanza non è importante in quanto assolutamente relativa) dal più vicino centro urbano, Njombe. Durante le piogge la durata del viaggio può variare dalle quattro ore ai due giorni, in base allo stato delle strade, dei ponti ed alla presenza di veicoli impantanati in mezzo alla strada ed abbandonati al loro destino. Ogni viaggio è una specie di roulette russa, non avendo alcuna certezza tranne una: non arriverai pulito alla meta.
Quando non si viaggia i problemi sono diversi. Di fatto si trascorre la stagione delle piogge da eremiti, non potendo muoversi né fare passeggiate. Si legge tantissimo, si lavora molto al computer, si guardano film se si ha la fortuna di averne. Non sempre si riesce a dormire, perché a volte la pioggia è talmente forte che lo scroscio provocato impedisce di addormentarsi. La vita chiusi tra casa ed ufficio è noiosa, ma la prospettiva di mettersi per strada, con tutto quello che ciò comporta, la rende preferibile ad ogni altra cosa.
La pioggia cadendo produce un rumore di fondo che all'inizio è snervante, ma al quale poi ci si arrende sconfitti.


Tutto sommato alla lunga si scoprono anche alcuni aspetti per così dire "romantici", per cui assecondando i propri ritmi al clima ci si cala maggiormente in una vita scandita dalla natura e quindi più umana, meno frenetica, più propensa a costruire relazioni. E questo è esattamente ciò che fanno anche gli abitanti di Ikondo. Quando non sono nei campi si trovano e parlano per ore ed ore (oltre che bere litri di alcolici a base di mais fermentato). Oppure non fanno semplicemente nulla, osservano la pioggia mettendosi in quello stato di attesa passiva così bene descritto da Kapuscinski e che lascia sbalordito quanto perplesso chi viene dalla nostra parte del mondo. Vivendo un periodo lungo in un villaggio come Ikondo si inizia a comprendere questo stile di vita apparentemente inoperoso, che in realtà è solo un adattamento al clima. Queste persone attendono, immobili, un solo momento.
Improvvisamente il rumore di fondo, che durava ormai da sei mesi, si interrompe e rimane solo il silenzio. Le piogge sono finite, ed inizia una nuova stagione della vita.

M.L.



lunedì 4 febbraio 2008

Pensieri Malgasci

Durante le sei settimane in cui ho girato per il Madagascar e sono stato ospite della missione di Tsiroanomandidy, ho scritto un diario di viaggio. Seguono alcuni brevi episodi ed estratti recuperati tra le numerose pagine che sono scaturite.


Questo è il pianeta Africa, prendere o lasciare. Non esistono compromessi : fame, povertà, allegria, meraviglie della natura e milioni di volti segnati da vite durissime. Ho ritrovato questa gente come l’ho lasciata: un popolo in cammino… lento e stentato, ma in cammino. E questa volta sono in strada anch’io!

Balene! Anzi, megattere! Finalmente il sogno si realizza. I maschi oggi erano in gran forma, e non hanno lesinato salti e acrobazie incredibili per animali di oltre trenta tonnellate. Le femmine, compassate e civettuole, li seguivano senza mostrare troppi entusiasmi. Quello spettacolo di cetacei mi ha divertito al pensiero che, in fondo, non si tratta altro che dello stesso comportamento che nei millenni i maschi di tutte le specie animali hanno selezionato nella fase che precede l’accoppiamento… specie umana compresa! Chiamasi esibizionismo.


Questa mattina, essendo brutto tempo, mi sono recato sulla spiaggia a raccogliere conchiglie. Si sono unite a me, spontaneamente, tre bambine malgasce incuriosite da quello strano “vazaha” (straniero) intento a raccogliere qualcosa per loro senza valore e comune quanto la frutta sugli alberi. Subito è iniziato un nuovo gioco, ovvero porgere al tizio bianco conchiglie sperando che le accettasse e le riponesse nella noce di cocco porta-oggetti. Ad un certo punto ci siamo trovati lungo un tratto di battigia dove le onde erano forti, l’acqua alta e a fatica si riusciva a rimanere in piedi. La più piccola si è messa a piangere non riuscendo a proseguire oltre. Mosso a compassione l’ho presa in braccio e lei, sentendosi finalmente al sicuro, ha smesso di piangere. Un pensiero che subito mi è saltato alla mente è che sarebbe bello con la stessa facilità di quel gesto risolvere alcuni dei terribili problemi che affliggono il Madagascar […].
A questo episodio ho pensato anche in seguito. E la conclusione è che offrire il proprio contributo in realtà è veramente facile come prendere una bambina in braccio. Due soli esempi: per mandare a scuola 250 bambini per un mese sono “sufficienti” 30 euro; per completare la costruzione dell’unica scuola di un villaggio mancano “solo” i 70 euro necessari alla realizzazione del tetto. Eppure, quei 250 bambini e quel villaggio rimarranno senza scuola, perché quei soldi non ci sono.


Mi trovo in piena notte presso un distributore di benzina, piegato sotto il peso del mio zaino, fermo su un marciapiede intento a scrivere il diario quotidiano, in attesa di un fantomatico mezzo di trasporto di passaggio che, tra parentesi, ho già pagato. La mia situazione è di per sé assurda, soprattutto perché si basa su una sconsiderata fiducia verso africani che nemmeno conosco. Ma la situazione diventa improvvisamente interessante e divertente. Il luogo dove sono è un vero e proprio crocevia di auto, autobus, bambini che vendono ciambelle fritte e frutta colorata riposta su vassoi di legno adagiati sulla testa, una vera e propria folla di vagabondi che bighellona senza uno scopo preciso. Superato l’iniziale momento in cui tutti mi vedevano come un potenziale acquirente delle cose più impensabili, le relazioni si sono evolute in una direzione imprevista. Tutti a turno si sono avvicinati chiedendo chi fossi, che ci facessi lì, dove fossi diretto. L’attesa è durata oltre due ore, è quindi facile immaginare quante persone io abbia potuto conoscere! Le persone più anziane hanno cominciato a disquisire e scommettere tra loro se fossi riuscito o meno a prendere il mio trasporto, i bambini delle ciambelle di loro iniziativa si sono prodigati a chiedere a tutti i bus di passaggio dove fossero diretti e se ci fosse una prenotazione di un bianco, alcune ragazzette si sono proposte in sposa, i venditori più creativi hanno cercato nuovi articoli, ancor più surreali, che mi potessero interessare… Ero una vera e propria celebrità!
Per completezza di cronaca: dopo due ore e mezza di attesa è arrivato il mio passaggio, carico di enormi bagagli, un divano ed una motocicletta.


Sono arrivato alla missione e del mio contatto (Goffredo) nemmeno l’ombra. Tra l’altro mi sarebbe piaciuto trovarlo, perché ci sono arrivato accompagnato su una moto da trial da un tizio della città che andava nella stessa direzione, e il vedermi arrivare in quel modo sarebbe risultato certo spettacolare. In questo modo però ho avuto l’occasione di inserirmi magnificamente, facendo salti mortali con il mio francese e imparando le parole chiavi malgasce. Ad esempio oggi sono stato con una micro - suorina malgascia più larga che alta in un villaggio chiamato Miandrarivo, che nella lingua locale credo significhi “villaggio alla fine del mondo”, perché per arrivarci abbiamo dovuto seguire una lunga e impraticabile pista polverosa, e le case si trovano letteralmente disperse in mezzo al nulla, senza corrente elettrica né acqua potabile. Ero il secondo bianco che varcava le soglie di quel villaggio, e molti dei bambini (che avevano mancato per la giovane età il bianco precedente) non mi hanno staccato gli occhi di dosso per tutto il tempo.


Questa la devo scrivere: c’è una donna a Tsiroanomandidy che da 8 anni attende in prigione di essere processata per un furto di banane. Una vita distrutta a causa del fatto che qua il sistema giudiziario è sommario e inefficace.
Questo paese è strano. L’apparenza è quella di un luogo dove sembra impossibile poter vivere male: pieno di risorse, posti meravigliosi, dove la natura distribuisce generosa i suoi frutti. Invece la società è poverissima: non esiste sanità pubblica, scuole decenti, giustizia, le malattie sono molto diffuse, le vie di comunicazione sono in condizioni agghiaccianti. Mi ero convinto dai viaggi precedenti che in Africa si dovessero considerare due livelli: quello superficiale, dell’apparenza, in cui questi paesi mostrano il peggio di sé e suscitano il rigetto da parte di noi “ricchi”. Il livello più profondo invece è quello della gente, delle relazioni umane, della natura più incredibile del mondo, della musica, delle danze e dell’allegria perpetua. Qui forse le sono più complesse, ed è difficile demarcare un limite netto tra dolore e gioia, meraviglia e disgusto.
(Testo scritto nel Luglio 2005)
M.L.