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domenica 18 agosto 2024

Storie di Sostegni a Distanza

Nyamba è una signora molto anziana, ha circa ottant'anni. Ha un'ernia ombelicale grande come un melone che le impedisce di muoversi liberamente. Suo nipote si chiama Dixon, ha15 anni ed è positivo a HIV. Entrambi i genitori di Dixon sono morti di HIV. Nyamba e il nipote non possiedono nulla, dipendono dalla carità della gente. A volte il nipotino non va a scuola perché deve portare la legna alla nonna o cercare del cibo. Col sostegno a distanza di Dixon VolontariA contribuisce alle spese scolastiche del bambino, del cibo e altre necessità come vestiti, materassi e lenzuola. Dixon frequenta ancora la scuola primaria e verrà sostenuto anche se vorrà proseguire alla secondaria. Dipenderà purtroppo solo da lui.

Anifa frequenta la scuola secondaria dj Ipeta ed è sostenuta a distanza da VolontariA.  Vive insieme a sua madre Teuda, la sorellina ed il fratello che va alla scuola primaria di Mwanzala, la scuola costruita da VolontariA. Ha anche un fratello maggiore che è andato a cercare la fortuna a Dar es Salaam, la capitale della Tanzania. Anifa ha perso il papà otto anni fa e tutta la famiglia ora vive a casa della nonna. La famiglia non ha fonti di reddito se non i campi di mais che coltivano la mamma e la nonna. Il mais che sono in grado di produrre rappresenta la loro unica forma di sostentamento. Grazie al sostegno a distanza Anifa vuole diventare insegnante e aiutare la famiglia a costruire un futuro migliore.

Msama è stato uno dei primi ragazzi ad entrare nel sostegno a distanza, nel lontano 2007. Era orfano e si è dimostrato fin da subito un ragazzo motivato e volenteroso. Ha frequentato la scuola secondaria di Kidabaga con buoni risultati ed ha proseguito gli studi all’università per diventare insegnante. Una volta terminata la formazione universitaria è stato assegnato di ruolo ad una scuola secondaria distante 18 ore di autobus dal suo villaggio natale. Ha lavorato nella scuola di Sumbawanga per sei lunghi anni. Finalmente le sue richieste di trasferimento sono state accolte e la sua storia prende una piega straordinaria. Msama oggi è professore di biologia nella stessa scuola in cui VolontariA ha iniziato a sostenerlo. Non solo. Msama vuole collaborare con l’associazione per segnalare i ragazzi in difficoltà e bisognosi che vivono nei villaggi più remoti. Msama ci ha regalato una soddisfazione grandissima!



lunedì 6 giugno 2022

Desiderio e Paura

C’è una cosa che continuo a chiedermi da quando siamo tornati. Se ho lasciato qualcosa alle persone che ho incontrato…. un sorriso, uno sguardo, un gesto. Se quando ci incontreremo di nuovo si ricorderanno di me. Io, di sicuro, mi ricorderò di loro.

 

Ho collezionato a lungo foto, articoli, proposte di viaggi, racconti, pagine di riviste sull’Africa, sospirando al desiderio di scoprirla, terrorizzata dalla paura di scoprirla! Un controsenso, lo so, fondato sulla consapevolezza che ‘ciò che è stato scoperto, lo è per sempre’. Proprio lì si fondono desiderio e paura, nel momento della scoperta, dove fai i conti con quello che è, non più con quello che avevi pensato. E il rischio è che sia deludente, o ti faccia desiderare di scoprirne ancora un po’...

Di quella piccola parte di Tanzania che ho scoperto me ne sono innamorata e molte cose resteranno con me.

Potrei fare un lungo elenco di sorrisi, sguardi, strette di mano, discorsi di saluto, studenti, strade; colori violenti, alberi, animali ed insetti, strade polverose e vita che ci brulica accanto…  che sono passati dai miei occhi per rimanere nel mio cuore. 

 

Oppure posso fare questo: fare un augurio a chiunque da sempre sogni di partire per l’Africa. Avere la possibilità di fare un viaggio così: auguro la possibilità di tornare a casa da una piccola parte di Africa, disillusi oppure innamorati. Di certo non indifferenti.  

 Tania

giovedì 31 marzo 2022

Viaggio in Tanzania (13-24 maggio 2022)

 

Cliccare sui link per approfondire i vari argomenti

Venerdì 13 maggio

Partenza da Bologna alle 6.00. Arrivo a Dar es Salaam alle 22.00.

Trasferimento in hotel e pernottamento

Sabato 14 maggio

Trasferimento con mezzo privato verso Iringa, una piacevole cittadina situata negli altipiani centrali della Tanzania. Lungo il viaggio si attraverserà il parco di Mikumi, con la possibilità di avvistare animali selvatici direttamente lungo la strada e di attraversare la famosa valle dei baobab. Arrivo in serata ad Iringa e sistemazione presso un confortevole ostello.

Domenica 15 maggio

Trasferimento presso il villaggio di Bomalang’ombe. Trattandosi di giorno festivo, sarà possibile prendere parte alla tradizionale messa del villaggio, una occasione di condivisione di un momento della vita della comunità locale, allegro e colorato come in Europa non siamo abituati. Pomeriggio di riposo. Pernottamento presso la casa dei volontari.

Lunedì 16 maggio

Primo giorno di visita dei progetti di VolontariA. Visiteremo la scuola diMwanzala, costruita grazie all’impegno dell’associazione e dei suoi sostenitori nel corso degli anni. Nel pomeriggio visita alla scuola secondaria di Ipeta, frequentata da molti ragazzi del progetto sostegno a distanza.

Rientro a Bomalang’ombe, pernottamento nella casa dei volontari.

Martedì 17 maggio

In mattinata visita al centro sociale di Boma, dove alcune artigiane realizzano prodotti di sartoria che VolontariA vende nel corso dei suoi mercatini. Trasferimento presso la scuola di Ilamba, dove conosceremo le suore che la gestiscono e i ragazzi del sostegno a distanza. Rientro a Bomalang’ombe e pernottamento.

Mercoledì 18 maggio

Trasferimento ad Iringa e visita al pittoresco mercato cittadino. Dopo pranzo è prevista la visita al suggestivo sito archeologico di Isimila, a pochi chilometri di distanza da Iringa. Gli enormi pinnacoli di roccia rossa e i siti del ritrovamento dei manufatti preistorici sono le due attrazioni principali di questo luogo. Trasferimento in hotel.

Giovedì-Sabato 19-21 maggio

Dopo aver fatto colazione e preparato i bagagli trasferimento presso il Ruaha National Park, uno dei parchi più belli di tutta l’Africa. Pranzo al sacco lungo il tragitto e dopo l’ingresso nel primo pomeriggio safari pomeridiano. Tutte le visite all’interno del parco sono rigorosamente guidate e ci sarà la possibilità di vedere tutta la fauna africana. E’ previsto almeno un pranzo in un lussuoso eco-lodge perfettamente inserito nell’ambiente della savana. Cene e pernottamenti in confortevoli bandas lungo il fiume, completamente calati nell’ecosistema africano.  Sabato rientro ad Iringa e pernottamento in hotel.

Domenica 22 maggio

Trasferimento con mezzo privato Iringa – Dar es Salaam che occuperà l’intera giornata.

Lunedì 23 maggio

Dopo la colazione servita in ostello, avendo tutta la giornata a disposizione, sarà possibile ancora una volta recarsi a visitare la meravigliosa Isola corallina di Mbudya e rilassarsi sulle sue spiagge bianche mangiando il pesce appena pescato dai pescatori. Rientro nel pomeriggio e dopo cena trasferimento in aeroporto. Partenza con volo delle 23.00.

Martedi 24 maggio

Arrivo a Bologna alle 13.10


Organizzazione tecnica del viaggio ad opera di Africa Miles Safari

Per info: responsible.tz@gmail.com

venerdì 30 gennaio 2015

Projet Bomalang'ombe: une histoire d’un vrai développement

Le village de Bomalang'ombe village (abrégé «Boma») se localise dans la partie montagneuse du sud de Tanzanie, une zone extrêmement pauvre. Lorsque CEFA (Comité Européen pour la Formation et l'Agriculture) arrivait à Boma, en 1994, le village comptait seulement 3,000 habitants. Aujourd'hui, grâce à plusieurs activités promues par CEFA

giovedì 20 marzo 2014

Tecnologia InformAfrica (2)

Dopo la prima distribuzione di computer del settembre 2012 (vedi post "Tecnologia InformAfrica"), VolontariA è stata in grado di donare altri computer portatili sanando alcune situazioni di bisogno. Ancora una volta tutto questo è stato possibile grazie all'aiuto  di Informatici senza Frontiere.
Alcuni degli studenti che VolontariA sostiene dal 2008 in questi anni stanno proseguendo gli studi all'Università, dove i costi dell'istruzione sono totalmente proibitivi per una famiglia tanzaniana media (laddove i genitori fossero ancora presenti) e addirittura impensabili per i nostri ragazzi orfani.  Per sottolineare maggiormente il carattere esclusivo

giovedì 20 febbraio 2014

Lettere dalla Tanzania

Questa settimana abbiamo ricevuto una meravigliosa sorpresa. Sono giunte (dopo tre mesi di peripezie postali...) le lettere dei ragazzi sostenuti presso la Scuola Secondaria Nyota ya Asubuhi di Ilamba. Sono già state inviate a coloro che hanno scelto di sostenere a distanza questi ragazzi, ma abbiamo voluto scansionarne alcune per condividere questa emozione con tutti gli amici. Queste parole ripagano i volontari di tutti gli sforzi e i generosi donatori dell' impegno economico.

mercoledì 20 novembre 2013

Gli uomini pianificano, Dio ride

Sulla bacheca dell'ufficio della Bomalang'ombe Village Company campeggia da tempo immemore un'illustrazione di un anonimo genio che racconta i vari punti di vista di un progetto di sviluppo. E' un monito umoristico sui rischi che si corrono quando ci si trova ad aiutare la gente, ma credo che questo avvertimento possa essere esteso ad ogni attività lavorativa. 

HISTORY OF A PROJECT
STORIA DI UN PROGETTO

As proposed by the Project sponsor
Come viene proposto dal donatore

martedì 10 settembre 2013

Grazie VolontariA, ma...

Il video che segue è dedicato a tutte le persone che sostengono VolontariA. Esso documenta la festa che la scuola primaria di Mwanzala ha organizzato per il gruppo in visita nel mese di Agosto. Questa scuola è nata per accogliere gli studenti in esubero dalla scuola primaria di Bomalang'ombe, che ormai ha raggiunto e superato le mille unità. VolontariA ha contribuito attivamente alla sua costruzione, e la scuola ha voluto dimostrare la propria gratitudine in questo modo. Alla festa hanno partecipato anche le autorità di villaggio e molti genitori dei ragazzi. Alla festa eravamo presenti solo in tre, ma era come se al nostro fianco ci foste tutti voi.

Eppure c'è anche un ma. Purtroppo la scuola di Mwanzala

sabato 22 settembre 2012

Tecnologia InformAfrica

La capacità di utilizzare un computer e di accedere al web sono divenute requisiti  essenziali anche per chi vive e lavora in paesi poveri. Esse permettono inoltre, a chi opera nell’ambito della cooperazione,  di trasmettere informazioni e immagini in tempo reale e di mantenere costantemente aperto un canale di  comunicazione nei confronti di partner e collaboratori esteri.  Senza questa opportunità il lavoro di associazioni come VolontariA, che si avvale nei paesi in cui opera esclusivamente di operatori locali, non sarebbe assolutamente possibile.
Grazie all’aiuto di Riccardo Ruffilli, Maurizio Da Ros e Nicola Battistoni di Informatici senza frontiere, ed alla generosità di Vanni Ricciardi e Fabio Malagoli, è stato possibile reperire 4 computer portatili che sono stati consegnati ai nostri referenti di progetto in Kenya e Tanzania. Crediamo che questo permetterà un salto di qualità del loro lavoro. VolontariA si è impegnata a finanziare corsi di informatica e di lingua inglese anche per gli altri collaboratori, in modo da poter ampliare la cerchia di lavoratori in grado di svolgere un lavoro qualificato ed essenziale come quello delle relazioni internazionali e della comunicazione.
Patrick Muthui, del Centro per Anziani di Wajir (Kenya)

John King'ori, del Centro per Anziani di Wajir (Kenya)

Spinola Matamwa, della Bomalang'ombe Village Company (Tanzania)

Virgilio Kihwele, del CEFA Bomalang'ombe (Tanzania)


mercoledì 22 agosto 2012

Il Diario dei Turisti Responsabili

Di seguito alcune parti del diario scritto dal gruppo di Trento nel corso del viaggio in Tanzania di Luglio.

Partiamo da Iringa alle ore 7.30, dopo aver acquistato farina e zucchero per la Primary School. Affrontiamo una strada sterrata con buche. Molte sono le persone che camminano lungo la strada; indossano vestiti multicolori e si recano alla messa. Le moto, le bici e le teste delle donne sono anche mezzi per il trasporto di merci (legna, sacchi di farina e taniche di acqua). Ad un certo punto l’ambiente diventa verde sia per le coltivazioni come granoturco, piselli, patate, sia per la vegetazione che cresce nei boschi (eucalipti, pini con aghi lunghi e sottili). Arriviamo a Bomalang’ombe alle 10.30 per assistere alla Messa: molto commovente la partecipazione della popolazione al rito, con balli e canti, il parroco che sta in mezzo alla chiesa durante la predica e ci invita a presentarci alla comunità.

venerdì 13 luglio 2012

Turismo Responsabile in Tanzania: Intervista

Intervista radiofonica  trasmessa il 12 Luglio dall'emittente online "Afriradio", in cui Francesca spiega in cosa consiste la proposta di Turismo Responsabile in Tanzania di VolontariA e T-Erre.

   
   
   
   
   

sabato 21 gennaio 2012

Tempi di crisi

Nel 2008, quando scoppiò la crisi finanziaria mondiale,culminata con il fallimento di Lehman Brothers, mi trovavo in Tanzania. In un solo giorno vennero polverizzati oltre 900 miliardi di euro di capitalizzazioni e ricordo nitidamente che cercai di spiegare ai collaboratori locali la quantità di denaro che era andata in fumo in quelle ore. Per rendere ancor più convincente la spiegazione applicai il tasso di cambio e tradussi la cifra in scellini tanzaniani: scrissi su un foglio di carta la cifra 1,5 seguita da 14 zeri. Rimasero a bocca aperta. All’epoca guadagnavano il corrispettivo di circa 1,5 euro al giorno (senza alcun zero dopo…), e tali cifre erano decisamente al di fuori  dalla loro immaginazione.
Successivamente mi prodigai nel tentativo di spiegare loro i sacrifici che ci si prospettavano in Europa ed elencai una serie di beni a cui avremmo dovuto rinunciare: non saremmo più potuti andare al ristorante o al cinema, licenziamenti e disoccupazione giovanile, riduzione delle spese alimentari, basta vacanze, tagli alle scuole e ai servizi sanitari, carburanti alle stelle, rincari sulle bollette.
Mi dissero che non gli sembravano dei grandi sacrifici: loro tutte quelle cose non le avevano mai conosciute.
Nello stesso periodo a Bomalang’ombe e Lyamko, i due villaggi presso cui vivevamo, nacque dietro iniziativa di privati cittadini l’associazione “Mshikamano” (che significa “solidarietà”), che aveva lo scopo di aiutare i più poveri e i malati. Ricordo un’assemblea di Mshikamano, cui presero parte oltre cento persone, nel corso della quale vennero raccolti i fondi (pochi scellini in realtà) per aiutare alcune famiglie in difficoltà fornendo loro sapone e farina di mais.
Ci sono circa due miliardi di persone, su questo pianeta, che vivono in nazioni che non riescono a garantire loro un reddito pro capite di 2 euro al giorno (a parità di potere d’acquisto). E questa cifra non tiene conto dei poveri che vivono in India, Brasile e Cina, potenze economiche che hanno terribili problemi di disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza.
Ci sono poi circa 900 milioni di persone (quasi la popolazione di Europa e Stati Uniti messe insieme) che vivono in contesti di guerra.
Questo post non vuole sminuire il dramma delle famiglie occidentali che perdono le loro fonti di sostentamento e che conoscono situazioni di povertà. Voglio soltanto sottolineare quanto siano forti i nostri lamenti per l’attuale situazione economica e quanto silenziosa sia la maggioranza della popolazione mondiale che da sempre vive realtà di privazione e sopruso.
La crisi economica ci sta facendo solo intravedere lo stile di vita medio dei miliardi di poveri di questo mondo, e questo ci spaventa e ci scandalizza. Siamo impazienti di ripristinare la distanza tra ricchi e poveri che c’è sempre stata e che inconsciamente consideriamo come normale.
Un’ultima riflessione. Il degrado morale ed etico che permea la società dei paesi economicamente sviluppati è figlio del benessere. E’ solo un caso se le personalità che hanno comunicato i valori più alti dei tempi moderni siano fiorite in ambienti dove si sperimentavano povertà e ingiustizia?
La crisi ci restituirà i valori che avevamo dimenticato? Ci ricorderemo che l’uomo vale infinitamente più del denaro?

lunedì 14 febbraio 2011

Messe Africane

Quando in Zambia partecipai alla mia prima messa africana non ero assolutamente preparato a ciò cui stavo per assistere. Era una domenica del luglio 1998 ed il luogo in cui si sarebbe svolta la mia prima celebrazione domenicale fu un compound (la baraccopoli zambiana) di Ndola. A parte la lunghezza della funzione, che da noi sarebbe stata eccessiva anche per il Natale o la Pasqua, ricordo nitidamente due sensazioni che sono stampate a fuoco nella mia memoria. La prima è lo sbalordimento per la folla che si mise in fila al momento dell’offertorio. Ci trovavamo senza dubbio in uno dei luoghi più poveri della Terra eppure anche le persone che sostavano all’esterno della Chiesa entrarono per donare qualche soldo. La seconda sensazione è la vergogna di non essere stato fisicamente in grado di reggere il ritmo della funzione. Il pavimento era in cemento grezzo e le panche altrettanto, eppure l’assemblea rimaneva inginocchiata su queste superfici spigolose per una lasso di tempo che equivaleva ad un supplizio insopportabile per le mie ginocchia. Danza, in piedi, in ginocchio, danza, in ginocchio, in piedi… ad un certo punto ho mollato e sconfitto mi sono seduto a riflettere sulla debolezza del mio fisico viziato da agi, cibi e igiene.
l secondo impatto con la messa africana e arrivato molti anni dopo a Wajir, nel nord-est del Kenya. Qui partecipare alla messa è un vero e proprio atto di eroismo. L’esterno del muro di cinta della parrocchia è butterato di colpi di artiglieria ed il Cristo in croce che sovrasta l’altare è privo di braccia, spezzate nel corso di un’ondata di fanatismo anticristiano. A Wajir il 99% della popolazione è di etnia somala dunque di religione musulmana e gli unici cattolici presenti sono i kenyani “immigrati” al nord che lavorano negli uffici pubblici, nella polizia e nell’esercito. La regione è tutt’altro che stabile, e saltuariamente durante la celebrazione musulmana del venerdì qualche mullah esaltato incita i fedeli ad invitare i cristiani rimasti ad andarsene. Tutto questo contesto però rimane fuori dalla Chiesa, e l’allegria della messa, i canti e i balli non sono meno festosi di qualunque altra parte del Kenya.

In Tanzania ho preso parte a numerose messe, addirittura a diversi matrimoni (tra cui il mio). Non è descrivibile il clima di festa che accompagna la domenica. Nel mondo occidentale abbiamo dimenticato il significato della domenica e del perché non si lavora e non si va a scuola.

Voglio invece raccontare, anche in questo caso, due emozioni che ho rubato alle messe tanzaniane e che mi fanno ancora sorridere mentre le descrivo.

Le messe venivano sempre celebrate dai catechisti dal momento che la parrocchia era molto grande, i villaggi numerosi e l’unico prete era quindi costretto a celebrare messa a rotazione nelle varie comunità. Il giovedì mattina padre Moises, grazie ad una convergenza di impegni, riusciva comunque all’alba a celebrare messa a Bomalang’ombe. Quando iniziava la messa era ancora buio, e nei mesi invernali sugli altipiani della Tanzania può fare veramente freddo. Eppure nella notte molte persone, in particolare donne giovani ed anziane vestite di pochi stracci, venivano a ricevere l’Eucarestia nonostante l’ora ed il freddo. Durante la messa erano più numerosi gli sternuti e i colpi di tosse che le parole, eppure vedevo in quelle occasioni delle prove di Fede cui molti, anche in Vaticano, dovrebbero assistere.

Tutti i pomeriggi, al termine del lavoro, mi recavo a tirare due calci al pallone nel campo adiacente la chiesa. Si giocava fino al calar del sole e a volte anche oltre. Le nostre partite di calcio erano allietate dai canti che il coro quotidianamente provava, e a bordo campo un catechista insegnava ai bambini i passi dei balli da eseguire nel corso della messa. Confesso che a volte, durante il crepuscolo correndo dietro ad un pallone ed ascoltando le musiche celestiali che provenivano dalla chiesa, mi sembrava di giocare in Paradiso.

M.L.

giovedì 13 gennaio 2011

Un Artista Incompreso

Uno dei personaggi più curiosi che ho conosciuto durante i due anni trascorsi in Tanzania è stato sicuramente Simiga. Simiga era un esponente inconsapevole dell’arte di strada. Ma a differenza degli artisti di strada del mondo occidentale, non si limitava ad esibirsi nel corso di festival o sagre, bensì la strada rappresentava il teatro della sua attività ogni singolo giorno della sua esistenza. La sua bottega-baracca si trovava lungo una delle strade principali di Iringa, i suoi dipinti si asciugavano sopra l’asfalto, i materiali che utilizzava erano vernice per auto e stoffe a basso costo, si occupava personalmente di vendere le sue opere là dove sapeva che avrebbe trovato qualcuno disposto ad acquistarle, anche a costo di percorrere decine e decine di chilometri in bicicletta.



Simiga era l’allievo più dotato di Kapo, un famoso pittore della Tanzania meridionale che ha decorato chiese e missioni con le sue opere. Simiga non ha avuto lo stesso successo, e ha dovuto ripiegare sulla produzione in serie di dipinti da vendere a turisti e negozi di souvenir. Si teneva molto informato sui movimenti intorno alle missioni situate intorno ad Iringa, e dopo l’arrivo di un gruppo di visitatori dall’Europa o dagli Stati Uniti capitava spesso di vederlo arrivare con la bicicletta carica dei suoi dipinti. Aveva uno stile tutto suo, che non piaceva a tutti. Tuttavia non ha mai voluto cambiare la sua personalissima impronta per rendere le sue opere più commerciali.

Simiga aveva una particolarità anatomica, qualcosa di piuttosto singolare per uno pittore: era decisamente strabico.

Il suo capolavoro, la sua Cappella Sistina, è la decorazione dell’asilo di Bomalang’ombe. Anni fa gli fu richiesto di dipingere i muri esterni ed interni dell’asilo della chiesa cattolica di Bomalang’ombe con figure legate alla storia di Gesù, e ciò gli richiese molti mesi di lavoro. Come tutti i grandi artisti, utilizzò il proprio volto per raffigurare quello di Gesù: oggi si può ammirare, sui muri esterni di quell’asilo, un meraviglioso Cristo strabico che benedice folle di bambini. I molti mesi di lavoro a Boma portarono anche frutti inattesi: ci sono molti bambini nel villaggio che assomigliano in maniera sospetta a Simiga, ed il loro sguardo strabico non lascia dubbi sull’identità del loro padre.

Simiga era uno delle persone che avevamo scelto di aiutare come associazione di volontariato. Acquistavamo i suoi dipinti in grande quantità e li rivendevamo in Italia nelle bancarelle che allestivamo nel corso delle varie fiere e feste alle quali partecipavamo. I proventi di queste vendite, secondo la formula per noi consueta, andavano a costituire il fondo a disposizione per il sostegno scolastico. Devo dire che si era creato un buon numero di estimatori dei suoi lavori, i quali spesso si ripresentavano fiera dopo fiera per vedere e comprare i nuovi dipinti di Simiga.

Eravamo riusciti a creare un sistema vantaggioso per entrambi; gli ordinavamo telefonicamente un certo numero di dipinti, che poi durante il nostro viaggio in Tanzania passavamo a ritirare. Simiga non aveva mai avuto dei committenti così regolari, e forse per la prima volta in vita sua aveva uno stipendio su cui contare. La bottega di Simiga era divenuta anche un’attrazione per le persone che ci accompagnavano nei viaggio, una specie di luogo di pellegrinaggio per i suoi fan italiani.

Nel 2009, nel corso del tradizionale viaggio di turismo responsabile, non abbiamo più trovato la sua bottega. I negozianti vicini ci hanno informato che era morto da qualche settimana a causa dell’HIV. Se ne è andato così nell’anonimato più completo un vero artista che non ha mai assaporato il successo ma che ha sempre vissuto per la sua arte nonostante questa gli procurasse solo povertà e privazioni.











M.L.

martedì 19 ottobre 2010

Turismo Responsabile a Bomalang'ombe

Di seguito una carrellata di fotografie scattate a Bomalang'ombe nel corso del viaggio di turismo responsabile organizzato da VolontariA e T-Erre lo scorso settembre.

domenica 11 luglio 2010

Udzungwa Scarp

La Riserva Forestale di Udzungwa Scarp è una delle maggiori aree forestali che coprono la catena dei Monti Udzungwa, situati nella Tanzania centro-meridionale. Essa copre una superficie di circa 220 km2 sul versante sud-orientale della catena montuosa. Insieme al Parco Nazionale dei Monti Udzungwa, che rappresenta la sua continuazione settentrionale, costituisce un’area protetta di eccezionale valore ecologico, biologico ed ambientale. I Monti Udzungwa infatti rappresentano una porzione dell’Arco Orientale, una serie di rilievi montuosi che anticamente costituivano un’unica catena che attraversava da sud a nord tutta la Tanzania per terminare in Kenya.

L’erosione che ha avuto naturalmente luogo nel corso di milioni di anni ha provocato una parcellizzazione dell’antica catena in tante “isole” di rilievi coperti di foresta ed ecologicamente separate le une dalle altre da profondi avvallamenti caratterizzati da clima ed altitudine profondamente diversi. In questo modo l’evoluzione delle specie di animali e piante è proseguita in ognuno di questi segmenti montuosi in modo autonomo, dando origine ad una estrema biodiversità concentrata in superfici relativamente piccole. E’ grazie al grande numero di nuove specie scoperte e ancora da scoprire che i Monti Udzungwa si sono meritati l’appellativo di “Galapagos d’Africa”.

Un aspetto importante dell’Udzungwa Scarp è che la sua foresta primaria si estende lungo le pendici delle montagne partendo da un’altitudine di circa 400 metri s.l.m., con un caratteristico paesaggio di savana, fino ad un’altitudine di 1900 metri s.l.m., con un clima completamente diverso caratterizzato da abbondanti piogge e freddo intenso. All’interno di questa ampia varietà di ecosistemi si sono evolute e differenziate centinaia di specie di animali e piante, oltre a tutte le specie che hanno colonizzato successivamente questi luoghi e che si possono trovare anche in altre aree.

Tra le specie animali che si possono trovare solo nell’Udzungwa Scarp, ed in particolare in una piccola zona della riserva, la storia più curiosa riguarda la “Rana mammifera” (Nectophrynoides asperginis), così chiamata perché è ovovivipara e cioè non depone uova ma dà alla luce girini vivi. Il suo habitat sono le cascate di Kihanzi, e perché il suo ciclo biologico si completi sono necessarie proprio la corrente e gli spruzzi delle cascate. Kihanzi è sito scelto nel 2000 per la realizzazione di un gigantesco impianto idroelettrico, costruito grazie ad un progetto della Banca Mondiale da 270 milioni di dollari . L’opera di presa dell’acqua avrebbe modificato il naturale corso delle cascate minacciando così la sopravvivenza della rana mammifera. Grazie al grande lavoro delle associazioni di ambientalisti e agli studi dei biologi è stato possibile modificare il progetto originario in modo da conservare una nicchia ecologica per le rane.

Udzungwa Scarp è straordinariamente ricca di anfibi e rettili unici di queste zone, mentre i mammiferi più diffusi sono cinque specie di primati (colobo rosso, colobo bianco e nero, la scimmia di Syke’s, galagoni, cercocebo di Sanje), iraci, leopardi (nella parte più bassa della foresta), piccole antilopi e numerose specie di piccoli mammiferi che abitano il sottobosco. Tra questi il più simpatico è sicuramente il rincocione, un toporagno-elefante caratteristico dell’Africa orientale. Una nuova specie di rincocione è stata scoperta recentemente dai ricercatori del Museo Tridentino proprio sui Monti Udzungwa.

http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/esteri/topo-tanzania/1.html

La foresta dell’Udzungwa Scarp è seriamente minacciata dall’attività umana e dall’espansione degli insediamenti che si trovano lungo i confini della riserva. Purtroppo lo status di Riserva Forestale non garantisce le stesse misure di protezione che difendono i Parchi Nazionali, per cui attività illegali di bracconaggio ed il taglio indiscriminato degli alberi della foresta fanno sorgere interrogativi e preoccupazioni in merito alla sopravvivenza di questo straordinario quanto fragile ecosistema.

Un modo per aumentare l’interesse nei confronti di questa Riserva potrebbe essere quello di pubblicizzarne lo sfruttamento nel contesto di progetti di Ecoturismo. Il Museo Tridentino di Scienze Naturali ha provato ad esplorare questa possibilità, purtroppo con modesti risultati. Infatti il trekking in foresta non garantisce la stessa spettacolarità di un safari (gli alberi fitti ostacolano la visione della fauna) ed è tutt’altro che ricco di comfort. In più, come se non bastasse, il governo tanzaniano, forse per evitare le invasioni (per altro improbabili) di turisti nelle aree protette, ha burocratizzato pesantemente l’accesso alle Riserve Forestali imponendo il pagamento di una quota giornaliera superiore a quella del parco nazionale da effettuare esclusivamente negli uffici di Morogoro, a centinaia di km cioè dall’ingresso in foresta.

Tutte queste misure non hanno impedito, a mia moglie e me, di sperimentare il primo tratto di un trekking che attraversa tutta l’Udzungwa Scarp da Masisiwe (villaggio a circa 1900 metri) fino a Chita, che sorge lungo le sponde del fiume Kilombero proprio ai piedi della catena degli Udzungwa. La nostra meta era Kihanga (S 08°22’19,7”, E 35°58’52,9”) a 1692 s.l.m., che si trova a 11,2 km in linea d’aria dal villaggio di Masisiwe. La durata prevista era di 4 ore di marcia con i portatori. Malauguratamente abbiamo ritenuto di potere fare senza, ed il tempo di percorrenza e la fatica si sono dilatati sensibilmente (noi abbiamo impiegato circa 6 ore).

Gli abitanti di Masisiwe millantano di riuscire a raggiungere Chita in 8 ore, ma se dovessi prevedere un trekking considererei tre giorni di cammino per completare il percorso.

Kihanga è il campo base a cui si sono appoggiate tutte le spedizioni esplorative dell’Udzungwa Scarp, dove cioè i ricercatori e i naturalisti hanno montato i campi in grado di ospitare loro e le attrezzature necessarie allo studio della foresta e dei suoi abitanti.


Kihanga non è altro che una minuscola radura in mezzo alla foresta pluviale, la cui caratteristica principale è quella di trovarsi in prossimità di una sorgente di acqua purissima e trasparente assolutamente potabile, che forma fra l’altro un laghetto ideale per lavarsi.

Come detto gli unici componenti della spedizione eravamo mia moglie ed io, guidati da un anziano abitante del villaggio di Masisiwe, Stephan Kayage, che la comunità locale ha scelto per guidare le spedizioni dei visitatori che desiderano inoltrarsi nella foresta.

Stephan non aveva scarpe ed il solo bagaglio era una tanica di pombe (alcolico ottenuto dalla fermentazione del mais), due canne da zucchero ed un machete. Tutto il suo sostentamento di due giorni di marcia era contenuto in questi oggetti.

Noi eravamo stracarichi, con abbigliamento tecnico, tenda, cibo e acqua in quantità. A noi le nostre provviste sono risultate decisamente scarse.

La foresta si è rivelata una prova molto più dura del previsto, a causa del clima umido, i duri dislivelli e i tronchi abbattutti che ostacolavano il cammino, ma ci ha regalato emozioni indescrivibili. Purtroppo nei due giorni che siamo rimasti sui monti Udzungwa non abbiamo trovato il tempo per un’esplorazione del territorio circostante il campo. Appena arrivati al campo base infatti abbiamo acceso il fuoco, piantato la tenda, consumato il pasto e ci siamo fiondati immediatamente a dormire. Eravamo stremati.

Non ci sono sfuggiti però i rumori della notte, le voci dei milioni di esseri viventi che popolano la foresta. Di giorno quest’ambiente sembra disabitato, ma di notte la vita esplode letteralmente. Siamo riusciti a registrare il verso dell’irace arboricolo, il cui gracchiare sovrasta tutte la altre voci notturne.

Ci piacerebbe un giorno, forti dell’esperienza accumulata, completare il tragitto fino alla pianura del Kilombero, fino a Chita. In quell’occasione però ci faremo accompagnare da dei portatori, gente allenata ed esperta che non conosce la fatica.

M.L.

domenica 16 maggio 2010

Un Diritto Negato

Tilivon ha 16 anni, ed è figlio del catechista del villaggio di Bomalang’ombe. E’ uno studente esemplare, ed i buoni risultati conseguiti durante la scuola primaria gli hanno consentito di accedere ad una scuola secondaria pubblica. Purtroppo, conformemente alle normative riguardanti la distribuzione degli studenti nella scuola pubblica, è stato destinato alla una scuola di Tunduru, che si trova a circa 500 chilometri da casa sua. Queste leggi, apparentemente crudeli, sono state introdotte dal primo presidente della Tanzania, Nyerere, allo scopo di formare classi composte da ragazzi provenienti da regioni diverse. In questo modo i ragazzi sono abituati fin da piccoli a frequentare un ambiente multietnico e ciò a contribuito a rendere la Tanzania uno dei pochi paesi dell’Africa a non conoscere tensioni sociali di matrice etnica. Trifon probabilmente non è al corrente del motivo per cui è costretto a rivedere la propria famiglia una volta all’anno affrontando un viaggio lungo e costoso, però accetta con gioia questa situazione perchè gli consente di studiare nella scuola secondaria.
Ayubo e Titus provengono da Kitemela, una piccola comunità rurale di poche centinaia di anime. Per arrivare al loro villaggio si è costretti a percorrere una strada sconnessa che è transitabile dalle auto pochi mesi all’anno. Le loro famiglie, come tutte quelle di Kitemela, traggono le proprie risorse dal lavoro dei campi e non possono permettersi di pagare la retta scolastica né le altre spese. Ogni studente infatti deve provvedere autonomamente all’acquisto del materiale scolastico, della divisa, del materasso, del cibo, del sapone, delle stoviglie, e di tutto l’occorrente per vivere lontano da casa propria. Ayubo e Titus sono i primi due abitanti del loro villaggio ad entrare nella scuola secondaria.





Jemaida vive a Mbawi, un villaggio situato sulle montagne della Tanzania meridionale. Frequenta la scuola secondaria a Masisiwe, che dista a piedi da casa sua un paio d’ore. Ogni giorno quindi Jemaida si alza molto prima dell’alba per arrivare puntuale a scuola per farvi poi ritorno alcune ore dopo il tramonto. Eppure, nonostante le difficoltà che la frequenza della scuola implica, Jemaida è una bambina fortunata perché, a differenza della maggior parte dei suoi coetanei di Mbawi, può ricevere un’istruzione che forse un giorno le consentirà di trovare un buon lavoro e quindi guadagnare abbastanza soldi da mantenere la sua famiglia.






Queste sono solo alcune delle storie dei ragazzi che beneficiano del progetto di Sostegno Scolastico di VolontariA onlus. La Tanzania è uno dei paesi dell’Africa con la più alta frequenza nelle scuole primarie (97 % - fonti Unicef), mentre è uno degli ultimi al mondo in fatto di accesso all’istruzione secondaria (4,8% - fonti Unesco). Mentre infatti le scuole primarie sono pressoché gratuite, le scuole secondarie rappresentano per le famiglie una spesa proibitiva. I pochi ragazzi che guadagnano per merito scolastico il diritto di accedere alla scuola governativa, dal costo accessibile, sono costretti a frequentarla lontano dal villaggio natale, e quindi a sostenere elevatissimi costi di vitto, alloggio e di trasporto. Quelli invece che potrebbero frequentare soltanto una scuola secondaria privata, seppur vicina a casa, devono pagare rette annuali onerosissime. In un modo o nell’altro una famiglia media tanzaniana dal reddito di circa 400 dollari all’anno, non può permettersi gli studi secondari dei propri figli. Il risultato è che spesso due o tre famiglie di parenti scelgono di unire le proprie misere finanze e di riservare questo privilegio a soltanto uno tra tutti i loro figli. Purtroppo la moderna vita cittadina richiede questo genere di qualifica per l’assunzione ad un lavoro dignitoso, completando quindi il meccanismo che perpetua la spirale di povertà.



L’istruzione è uno fra i più elementari diritti dell’essere umano e non c’è genitore in Tanzania che non sarebbe disposto a qualunque sacrificio per garantire questo diritto ai propri figli. La considerazione più dolorosa è che quello che è impossibile per due genitori in Tanzania, e cioè il pagamento della retta scolastica per uno dei propri figli, rappresenta uno sforzo assolutamente esiguo per un abitante del mondo cosiddetto evoluto: con 250 euro all’anno si può far fronte a questa spesa e garantire l’istruzione ad uno studente africano. E’ possibile che non si riesca a donare il superfluo per garantire l’essenziale ad un nostro simile?

M.L.

mercoledì 24 febbraio 2010

Incidenti di Percorso (1)

Nel mondo cosiddetto "sviluppato" la strada è quella linea che unisce due luoghi. Non ha alcun significato intrinseco se non quello di condurre da qualche parte. Nella maggioranza dei casi è una perdita di tempo necessaria per raggiungere il luogo di lavoro o una sospirata meta vacanziera. In Africa non è quasi mai così. Ogni chilometro ha un proprio senso preciso in quanto può nascondere un insegnamento da ricordare o un ostacolo da superare. L'impossibilità di procedere è generalmente il motore di esperienze che si vivono lungo la strada, impone la sosta e prepara il terreno all'imponderabile, al caso ed al destino.



Un episodio emblematico avvenne la prima (sottolineo "la prima") volta che mi recai al villaggio sede del progetto. All'epoca frequentavo il corso di kiswahili che si svolgeva dal lunedì al venerdì ad Iringa. Invece di crogiolarmi per tutto il weekend nella vita cittadina preferii recarmi nel luogo in cui avrei vissuto per due anni, impaziente di gettarmi nella mischia. Decisi (non che avessi altra scelta) di arrivarci con l'autobus scalcinato che ogni giorno percorre la tratta Iringa-Bomalang'ombe. Era l'inizio della stagione delle piogge, ma all'epoca ancora non sapevo cosa ciò potesse comportare. Il viaggio fu molto interessante, dato che ebbi modo di studiare tutto il percorso e i caratteristici villaggi che si succedevano. Pranzai con un'ottima pannocchia abbrustolita acchiappata al volo durante una delle numerose e lunghe soste, studiate senz'altro più a favorire il commercio degli abitanti dei villaggi che a consentire la discesa e la salita dei passeggeri, operazione che si svolgeva nell'arco di un paio di minuti. La cosa curiosa era che ogni villaggio era specializzato in una particolare merce: c'era il villaggio della frutta, quello dei pomodori, quello delle pannocchie, ecc. Come se fosse stato stabilito un tacito accordo di non belligeranza commerciale tra i diversi villaggi. Nel corso degli anni avrei poi imparato ad apprezzare il progressivo variare delle merci vendute in virtù del succedersi delle stagioni che influivano sulle produzioni agricole disponibili.

Dopo circa quattro ore dalla partenza, arrivati a Kidabaga, l'autobus si fermò. Kidabaga era (ed è tuttora) un grosso villaggio che si trovava a trenta chilometri dalla mia meta e che segnava il confine tra la pista in buone condizioni e quella meno battuta.

All'inizio valutai che si trattasse di una delle classiche e interminabili soste che avevano costellato il percorso, ma quando rimasi l'unico passeggero capii che qualcosa non andava. Con un kiswahili stentato (avevo alle spalle solo una settimana di lezione) capii, o meglio intuii, che la strada da Kidabaga a Bomalang'ombe era troppo brutta, che l'autobus non poteva farcela e si sarebbe di certo impantanato. A Kidabaga non esistevano luoghi che ritenessi adatti a dormire (ma questa valutazione era destinata a cambiare radicalmente con il passare del tempo) per cui cominciai a preoccuparmi. Trenta chilometri a piedi sono tanti, soprattutto di notte e senza conoscere la strada. Questo problema non affliggeva soltanto me, ma anche tutti i passeggeri che erano diretti nei villaggi oltre Kidabaga. A domanda, come sempre, corrispose un'offerta. Un abitante di Kidabaga improvvisò un mezzo di trasporto su cui ci propose di salire dietro, ovviamente, un ragionevole compenso. Si trattava di un trattore a cui venne agganciato un misero carro realizzato con un puzzle di pezzi di ricambio malamente assemblati. Sul fondo del carro vennero sistemati tutti i bagagli e sopra questi ci disponemmo noi passeggeri insieme ad alcune galline in gabbia. Tutta questa impalcatura cigolava e scricchiolava ad ogni metro, ed era immediatamente evidente che il carro si sarebbe schiantato di lì a poco. Prima del definitivo cedimento strutturale, che avvenne a circa dieci chilometri dall'arrivo, si ruppero per l'eccessivo peso tutte le ruote ad una ad una. Le camere d'aria vennero tutte aggiustate artigianalmente per poi proseguire ogni volta. Ad ogni pit stop la gente scendeva con calma e rassegnazione, e aspettava con pazienza il momento in cui si sarebbe ri-arrampicata sul cumulo di sacchi e bagagli per riprendere la marcia. Ad una decina di chilometri dall'arrivo, come detto, il carro collassò ed il semiasse cedette. Erano le undici di sera, era buio da diverse ore, e la gente ancora una volta scese per assistere alle operazioni di riparazione. Questa volta era evidente che senza l'aiuto di un meccanico vero non sarebbe stato possibile sistemare il carro, ma la maggior parte dei passeggeri volle negare l'evidenza ed attendere che si verificasse il miracolo ad opera dei nostri sprovveduti traghettatori. Io ero maledettamente stufo, e spiegai che avrei proseguito a piedi. Venni seguito soltanto da due donne che dividevano il peso di due bagagli ed un lattante. Io probabilmente fornivo loro un barlume di sicurezza, loro indicavano la strada. In due ore arrivammo al villaggio, ed all'una di notte, esattamente tredici ore dopo essere partito da Iringa, svenni esausto nel letto.


M.L.