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mercoledì 22 luglio 2015

Udzungwa National Park - Mwanihana Trail

Memore dell’esperienza acquisita nell’Udzungwa Scarp quest’anno ho organizzato una “spedizione” alla scoperta dell’omonimo Parco Nazionale. Ho programmato tre giorni di cammino partendo dal villaggio di Mang’ula (300 metri s.l.m. circa) con l’obbiettivo di raggiungere il secondo picco più alto
della catena, il Mwanihana Peak a 2500 metri s.l.m. Questa volta ho assoldato due portatori, un cuoco, una guida ed un ranger armato, quest’ultimo con l’incarico di difendere il gruppo da potenziali incontri pericolosi con predatori, bufali o elefanti. Non è un viaggio economico, specie se affrontato da solo. Queste condizioni mi hanno permesso però di percorrere l’intero tragitto senza uno zaino troppo pesante, di fruire delle spiegazioni di una guida esperta e di penetrare in tutta sicurezza all’interno delle aree più frequentate dalla fauna selvatica.
Il programma era semplice: il primo giorno sarebbe stato dedicato a raggiungere il campo base, a montare le tende e la cucina da campo. Il

domenica 11 luglio 2010

Udzungwa Scarp

La Riserva Forestale di Udzungwa Scarp è una delle maggiori aree forestali che coprono la catena dei Monti Udzungwa, situati nella Tanzania centro-meridionale. Essa copre una superficie di circa 220 km2 sul versante sud-orientale della catena montuosa. Insieme al Parco Nazionale dei Monti Udzungwa, che rappresenta la sua continuazione settentrionale, costituisce un’area protetta di eccezionale valore ecologico, biologico ed ambientale. I Monti Udzungwa infatti rappresentano una porzione dell’Arco Orientale, una serie di rilievi montuosi che anticamente costituivano un’unica catena che attraversava da sud a nord tutta la Tanzania per terminare in Kenya.

L’erosione che ha avuto naturalmente luogo nel corso di milioni di anni ha provocato una parcellizzazione dell’antica catena in tante “isole” di rilievi coperti di foresta ed ecologicamente separate le une dalle altre da profondi avvallamenti caratterizzati da clima ed altitudine profondamente diversi. In questo modo l’evoluzione delle specie di animali e piante è proseguita in ognuno di questi segmenti montuosi in modo autonomo, dando origine ad una estrema biodiversità concentrata in superfici relativamente piccole. E’ grazie al grande numero di nuove specie scoperte e ancora da scoprire che i Monti Udzungwa si sono meritati l’appellativo di “Galapagos d’Africa”.

Un aspetto importante dell’Udzungwa Scarp è che la sua foresta primaria si estende lungo le pendici delle montagne partendo da un’altitudine di circa 400 metri s.l.m., con un caratteristico paesaggio di savana, fino ad un’altitudine di 1900 metri s.l.m., con un clima completamente diverso caratterizzato da abbondanti piogge e freddo intenso. All’interno di questa ampia varietà di ecosistemi si sono evolute e differenziate centinaia di specie di animali e piante, oltre a tutte le specie che hanno colonizzato successivamente questi luoghi e che si possono trovare anche in altre aree.

Tra le specie animali che si possono trovare solo nell’Udzungwa Scarp, ed in particolare in una piccola zona della riserva, la storia più curiosa riguarda la “Rana mammifera” (Nectophrynoides asperginis), così chiamata perché è ovovivipara e cioè non depone uova ma dà alla luce girini vivi. Il suo habitat sono le cascate di Kihanzi, e perché il suo ciclo biologico si completi sono necessarie proprio la corrente e gli spruzzi delle cascate. Kihanzi è sito scelto nel 2000 per la realizzazione di un gigantesco impianto idroelettrico, costruito grazie ad un progetto della Banca Mondiale da 270 milioni di dollari . L’opera di presa dell’acqua avrebbe modificato il naturale corso delle cascate minacciando così la sopravvivenza della rana mammifera. Grazie al grande lavoro delle associazioni di ambientalisti e agli studi dei biologi è stato possibile modificare il progetto originario in modo da conservare una nicchia ecologica per le rane.

Udzungwa Scarp è straordinariamente ricca di anfibi e rettili unici di queste zone, mentre i mammiferi più diffusi sono cinque specie di primati (colobo rosso, colobo bianco e nero, la scimmia di Syke’s, galagoni, cercocebo di Sanje), iraci, leopardi (nella parte più bassa della foresta), piccole antilopi e numerose specie di piccoli mammiferi che abitano il sottobosco. Tra questi il più simpatico è sicuramente il rincocione, un toporagno-elefante caratteristico dell’Africa orientale. Una nuova specie di rincocione è stata scoperta recentemente dai ricercatori del Museo Tridentino proprio sui Monti Udzungwa.

http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/esteri/topo-tanzania/1.html

La foresta dell’Udzungwa Scarp è seriamente minacciata dall’attività umana e dall’espansione degli insediamenti che si trovano lungo i confini della riserva. Purtroppo lo status di Riserva Forestale non garantisce le stesse misure di protezione che difendono i Parchi Nazionali, per cui attività illegali di bracconaggio ed il taglio indiscriminato degli alberi della foresta fanno sorgere interrogativi e preoccupazioni in merito alla sopravvivenza di questo straordinario quanto fragile ecosistema.

Un modo per aumentare l’interesse nei confronti di questa Riserva potrebbe essere quello di pubblicizzarne lo sfruttamento nel contesto di progetti di Ecoturismo. Il Museo Tridentino di Scienze Naturali ha provato ad esplorare questa possibilità, purtroppo con modesti risultati. Infatti il trekking in foresta non garantisce la stessa spettacolarità di un safari (gli alberi fitti ostacolano la visione della fauna) ed è tutt’altro che ricco di comfort. In più, come se non bastasse, il governo tanzaniano, forse per evitare le invasioni (per altro improbabili) di turisti nelle aree protette, ha burocratizzato pesantemente l’accesso alle Riserve Forestali imponendo il pagamento di una quota giornaliera superiore a quella del parco nazionale da effettuare esclusivamente negli uffici di Morogoro, a centinaia di km cioè dall’ingresso in foresta.

Tutte queste misure non hanno impedito, a mia moglie e me, di sperimentare il primo tratto di un trekking che attraversa tutta l’Udzungwa Scarp da Masisiwe (villaggio a circa 1900 metri) fino a Chita, che sorge lungo le sponde del fiume Kilombero proprio ai piedi della catena degli Udzungwa. La nostra meta era Kihanga (S 08°22’19,7”, E 35°58’52,9”) a 1692 s.l.m., che si trova a 11,2 km in linea d’aria dal villaggio di Masisiwe. La durata prevista era di 4 ore di marcia con i portatori. Malauguratamente abbiamo ritenuto di potere fare senza, ed il tempo di percorrenza e la fatica si sono dilatati sensibilmente (noi abbiamo impiegato circa 6 ore).

Gli abitanti di Masisiwe millantano di riuscire a raggiungere Chita in 8 ore, ma se dovessi prevedere un trekking considererei tre giorni di cammino per completare il percorso.

Kihanga è il campo base a cui si sono appoggiate tutte le spedizioni esplorative dell’Udzungwa Scarp, dove cioè i ricercatori e i naturalisti hanno montato i campi in grado di ospitare loro e le attrezzature necessarie allo studio della foresta e dei suoi abitanti.


Kihanga non è altro che una minuscola radura in mezzo alla foresta pluviale, la cui caratteristica principale è quella di trovarsi in prossimità di una sorgente di acqua purissima e trasparente assolutamente potabile, che forma fra l’altro un laghetto ideale per lavarsi.

Come detto gli unici componenti della spedizione eravamo mia moglie ed io, guidati da un anziano abitante del villaggio di Masisiwe, Stephan Kayage, che la comunità locale ha scelto per guidare le spedizioni dei visitatori che desiderano inoltrarsi nella foresta.

Stephan non aveva scarpe ed il solo bagaglio era una tanica di pombe (alcolico ottenuto dalla fermentazione del mais), due canne da zucchero ed un machete. Tutto il suo sostentamento di due giorni di marcia era contenuto in questi oggetti.

Noi eravamo stracarichi, con abbigliamento tecnico, tenda, cibo e acqua in quantità. A noi le nostre provviste sono risultate decisamente scarse.

La foresta si è rivelata una prova molto più dura del previsto, a causa del clima umido, i duri dislivelli e i tronchi abbattutti che ostacolavano il cammino, ma ci ha regalato emozioni indescrivibili. Purtroppo nei due giorni che siamo rimasti sui monti Udzungwa non abbiamo trovato il tempo per un’esplorazione del territorio circostante il campo. Appena arrivati al campo base infatti abbiamo acceso il fuoco, piantato la tenda, consumato il pasto e ci siamo fiondati immediatamente a dormire. Eravamo stremati.

Non ci sono sfuggiti però i rumori della notte, le voci dei milioni di esseri viventi che popolano la foresta. Di giorno quest’ambiente sembra disabitato, ma di notte la vita esplode letteralmente. Siamo riusciti a registrare il verso dell’irace arboricolo, il cui gracchiare sovrasta tutte la altre voci notturne.

Ci piacerebbe un giorno, forti dell’esperienza accumulata, completare il tragitto fino alla pianura del Kilombero, fino a Chita. In quell’occasione però ci faremo accompagnare da dei portatori, gente allenata ed esperta che non conosce la fatica.

M.L.

sabato 29 agosto 2009

Chamaleon Safari

Quando capii in che parte dell'Africa ero capitato a trascorrere i miei due anni di servizio, c'era un aspetto che non mi andava proprio giù. L'immaginazione aveva solidamente costruito un paesaggio fatto di acacie, grandi mammiferi africani, caldo e frutta tropicale. La natura esercita in me un fascino irresistibile, e quella che ero andato a cercare aveva dei contorni ben definiti.
Risultato: mi trovavo a 2000 metri di altezza, il clima era terribilmente freddo, l'albero più diffuso era il pino canadese e mangiavo pesche e pere. Ma soprattutto di fauna africana non ce n'era nemmeno l'ombra. Se non ci fossero state le capanne e la terra rossa il resto del paesaggio sarebbe stato assolutamente identico a quello dell'appennino tosco-romagnolo.
In un paio d'ore d'auto si scendeva di quota e la natura corrispondeva effettivamente a quella che avevo immaginato, ma non era lì che abitavo.
Chiaramente questo disappunto non poteva in alcun modo minare l'esperienza che avevo il privilegio di vivere, però una puntina di amarognolo rimaneva nel profondo.
Questo finché non capitò nel villaggio un erpetologo di Harvard, il quale ci chiese ospitalità per il tempo necessario a svolgere le sue ricerche.
Costui si chiamava Luke Mahler (http://www.oeb.harvard.edu/faculty/losos/mahler/) ed il suo arrivo fu accompagnato da un profondo sentimento di curiosità: cosa poteva cercare un naturalista americano in un luogo come questo? Fu lui a darci la risposta: camaleonti.

Molto timidamente gli facemmo notare che in sei mesi di permanenza non ne avevamo visto nemmeno uno. Ma lui ci rispose che non sapevamo cercarli, e che quella notte stessa ce li avrebbe mostrati. Di notte?!?
Luke era pratico di quel tipo di ricerche e andò immediatamente a presentarsi al capo villaggio per spiegare il motivo della sua presenza e per chiedere il permesso di aggirarsi di notte a raccogliere camaleonti. I permessi furono concessi, e non appena si sparse la notizia che un mzungu (bianco) cercava vinyonga (camaleonti), iniziò un'ininterrotta processione a casa nostra da parte di persone intenzionate a vendere i camaleonti che avevano catturato per l'occasione. Fra queste persone c'erano anche alcuni nostri dipendenti.
Noi rimanemmo sbalorditi per due motivi: il primo era che il giorno prima non sapevamo neanche che questi animali fossero presenti in così gran numero nei dintorni di casa, il secondo era che il camaleonte è un animale porta-sfortuna per la cultura locale, e la gente ne è del tutto terrorizzata. Ma pochi spiccioli si erano dimostrati più potenti delle ataviche credenze…



La notte, come anticipato, uscimmo con Luke alla ricerca di camaleonti. Fu nel corso di quella camminata notturna (a cui ne seguirono numerose altre) che Luke ci spiegò che il nostro villaggio sorgeva in una delle aree naturalisticamente più interessanti dell'Africa intera. Non c'erano leoni ed elefanti, ma quelli non sono animali rari per l'Africa. Invece in quella zona, proprio per le sue caratteristiche di isolamento ecologico e climatico rispetto alle aree circostanti, si erano evolute molte specie del tutto singolari e uniche, soprattutto all'interno delle classi dei rettili e degli anfibi. In particolare, era una delle poche zone dove si potevano trovare contemporaneamente tre rare specie di camaleonti poco descritte dal mondo scientifico, ovvero il Chamaeleo werneri, il Chamaeleo tempeli ed il Chamaeleo goetzi.
Il miglior modo per scovare i camaleonti, virtualmente invisibili di giorno, era quello di cercarli di notte alla luce delle torce elettriche. Magicamente la boscaglia si popolava di sagome bianche appese ai fusti delle piante ed ai rami degli alberi. Si potevano riconoscere forme adulte e forme giovanili, maschi e femmine.
Il "Safari dei Camaleonti" divenne la principale attrazione turistica da sottoporre ai visitatori del nostro progetto, e nel corso delle numerose uscite notturne avevamo imparato che il loro numero variava in funzione della stagione e che le tre specie vivevano in habitat completamente diversi: il Goetz si poteva trovare aggrappato verticalmente alle canne ed alle piante erbacee che crescevano nell'acqua di stagni e paludi, il Tempel amava dormire sulla punta dei rami dei pini, mentre il "cornuto" Werner si nascondeva nel folto degli alberi ed era quello più difficile da trovare.
Provammo anche ad allevarne uno in cattività, il che ci costrinse a catturare per lui insetti vivi e a studiare le disposizioni migliori per favorire la sua biologia. Questo camaleonte, forse reo di non rappresentare alcun interesse economico, riaccese tutte le superstizioni sopite e dovevamo stare molto attenti a non mettere il suo terrario improvvisato nelle vicinanze della cuoca, che altrimenti si rifiutava di lavorare. Il povero Brian però ci lasciò durante una notte tempestosa, quando dimenticammo la bacinella che lo accoglieva sotto al diluvio ed alle intemperie. Sei stato un buon compagno Brian.

M.L.