martedì 29 novembre 2011

Il Museo Archeologico di Sarsina (2)

Uno dei pezzi forti del Museo di Sarsina è il "Trionfo di Dioniso", un enorme mosaico di 50 m2 appartenuto ad un'abitazione privata e datato III sec. d.C.
Il mosaico raffigura, nel suo elemento centrale, Dioniso su un carro trainato da tigri e governato da Pan e da un Satiro. Attorno all'elemento centrale vi sono vari animali europei tra cui un cervo ed un cinghiale ed altri esotici quali il leone, il leopardo, la faraona.
Tra le figure disposte in cerchio intorno al disegno principale c'è un uccello che ha attirato immediatamente la mia attenzione.
Questo uccello dalle ali azzurre, il petto viola e la striscia nera sull'occhio è sorprendentemente simile alla ghiandaia pettolilla (Coracias caudatus), uccello molto diffuso nell'Africa sub-sahariana.
La somiglianza a mio avviso non è casuale. Sarsina era un luogo di intensi traffici commerciali e i mercanti in transito da e per Roma provenivano da tutto il mondo conosciuto. Ciò che veramente lascia sbalorditi è che l'artista che ha eseguito il mosaico deve aver visto di persona questo uccello, perchè l'accuratezza dei dettagli è troppo elevata. Non è difficile quindi immaginare di un mercante nordafricano, solito trattenere contatti commerciali con le carovane che attraversavano il Sahara, che deve aver acquistato questo uccello in gabbia e tentato di vendere questa rarità sul mercato romano.
Nel mosaico è anche raffigurata un'antilope con le corna "a cavatappi". Qui il parallelismo è più facile, perchè senza troppa approssimazione deve trattarsi di un eland o taurotrago.
M.L.

Il Museo Archeologico di Sarsina

Il Museo Archeologico (Nazionale) di Sarsina è uno dei segreti meglio nascosti della Romagna. Per un Museo questa non è certo una nota di merito, ma un fatto innegabile è che gli stessi romagnoli non conoscono le meraviglie che vi sono celate all’interno.
Diversi pezzi conservati nel Museo di Sarsina meriterebbero sale a loro dedicate al Metropolitan di New York o al British Museum di Londra.
Le fotografie non rendono loro giustizia e soltanto di persona è possibile cogliere la loro magnificenza ed importanza.
Di fatto si tratta di uno dei musei della civiltà romana più importanti dell’Italia Settentrionale e dovrebbe costituire una meta obbligata dei giri turistici e delle gite scolastiche in queste zone. Così, purtroppo, non è.
La maggior parte dei reperti provengono dalla Necropoli romana di Pian di Bezzo, i cui scavi principali sono stati condotti tra il 1927 ed il 1933. Alcune interessanti fotografie dell’epoca documentano le condizioni in cui venivano svolti gli scavi.
Trattandosi di una necropoli, ne consegue che molti oggetti e strutture rinvenute fossero di carattere funerario. L’imponenza di alcuni mausolei racconta con chiarezza l’importanza e la ricchezza delle persone cui furono dedicati, e testimonia come Sarsina, un piccolo centro sull’Appennino romagnolo, in passato non fosse né piccolo né isolato ma anzi si trovasse al centro di remunerativi traffici commerciali.

Che l’antica Sarsina fosse una località di intensi scambi commerciali e culturali è testimoniato anche dalle statue raffiguranti divinità appartenenti ai culti romano, greco, frigio, egizio ed orientale.
Il pezzo forte della collezione è senza dubbio l’imponente mausoleo di Rufus del I secolo a.C. che raggiunge i 13,5 metri di altezza. La sua disposizione al fianco di una luminosa vetrata da cui traspare una chiesa posta nelle vicinanze del museo è incredibilmente suggestiva ed esalta le caratteristiche di questo stupendo monumento.
Il museo ripercorre inoltre numerosi aspetti della vita quotidiana del tempo, dall’arredamento delle case, al cibo, alle tradizioni, ad opere di ingegneria idraulica, fino all’arte ed alla poesia in cui i romani eccellevano.
Nella prima sala è esposto un cippo funerario intitolato a Marcana Vera, che in forma di acrostico riporta una poesia meravigliosa:
Ver tibi contribuant sua munera florea grata
Et tibi grata comis nutet aestiva voluptas
Reddat et autumnus Bacchi tibi munera semper
Ac levi hiberni tempus tellure dicetur

La primavera ti offra il suo contributo di doni floreali a te graditi
E la voluttà dell'estate si inchini a te gradita sotto il peso delle sue spighe di grano
E l'autunno ti riporti sempre i doni di Bacco
E allora perfino la stagione invernale per la terra che ti ricopre si dirà piacevole
In una sala del secondo piano sono raccolti alcuni reperti delle civiltà umbre pre-romane, tra cui spiccano alcuni bronzetti votivi rinvenuti nell’attuale campo sportivo di Sarsina.
M.L.

mercoledì 16 novembre 2011

Modigliani e l'Art Nègre

Mi sono sempre chiesto come mai le opere di Amedeo Modigliani suscitassero in me un fascino così potente. L’esibizione “il Mistico Profano” dedicata a Modigliani tenuta nel 2010 al Museo d’Arte Moderna di Gallarate ha chiarito definitivamente questo mio quesito.
Tutto ebbe inizio nel 1897 a Bruxelles quando, all’interno dell’Esposizione Internazionale, fu dedicato ampio spazio ad alcuni reperti del museo coloniale di Tervuren appartenente a Leopoldo II. Tali reperti erano stati, per così dire, prelevati dal tirannico monarca nel corso del suo esperimento di possesso privato ed esclusivo di uno stato, il Congo belga.
La sezione africana dell’esposizione internazionale ebbe immediatamente una fortissima eco nel panorama artistico mondiale. A venirne colpito fu soprattutto il centro dei principali movimenti artistici dell’epoca, Parigi. Il primo artista documentato a manifestare il suo interesse verso l’art nègre fu Maurice de Vlaminck, nel 1905. Da questo momento in poi questa tendenza si diffuse tra tutti i principali artisti presenti all’epoca a Parigi, da Picasso a Matisse. Il Primitivismo, e cioè l’adozione di alcuni dei canoni che contraddistinguono l’are africana ed in particolare maschere e sculture lignee,  pose così le basi per due movimenti che nacquero proprio in quel periodo, il Cubismo ed il Fauvismo.
In quegli anni Modigliani stava vivendo la sua parentesi da scultore e stava lavorando a stretto contatto con lo scultore rumeno Constantin Brânçusi, il quale aveva sposato con entusiasmo i principi del Primitivismo.
L’ art nègre insegnò ai principali esponenti della storia dell’arte occidentale una straordinaria capacità di sintesi formale, la semplificazione delle figure, ed un’espressività immediata
Questa influenza è molto evidente nei lavori di Modigliani scultore, ed è innegabile che questa fase influenzò in maniera determinante il  processo di maturazione che lo portò, dal 1915 in poi, ad acquisire quel proprio e inimitabile stile che tutti sappiamo riconoscere nei suoi meravigliosi ritratti.
La riduzione dei tratti e delle caratteristiche dell’immagine conduce Modigliani a eliminare tutto ciò che di superfluo esiste in un volto selezionandone gli aspetti essenziali. L’uso numericamente moderato di colori ma la loro applicazione al massimo dell’intensità possibile conferisce un aspetto quasi “digitale” alle sue figure, esaltandone nitidezza e chiarezza espressiva. 
La mia attrazione nei confronti dei dipinti di Modigliani è se possibile ancora lievitata da quando ho scoperto che, seppur attraverso un percorso tortuoso, essi trovano ispirazione nelle culture che abitano le foreste dell’Africa Centrale.
M.L.