sabato 29 dicembre 2012

Andasibe-Mantadia


Il Parco Andasibe-Mantadia è una riserva forestale situata nella parte orientale del Madagascar. Si situa idealmente sulla direttrice che conduce da Antananarivo (la capitale) verso la città costiera di Tamatave, rappresentando la tappa ideale quindi lungo il viaggio che porta verso Ile Saint Marie o il Canale di Pangalanes. Visitando questo parco si compie un’esperienza naturalistica unica, potendo osservare l’ecosistema tipico del Madagascar e alcuni dei suoi abitanti più caratteristici.
La parte principale del parco da un punto di vista strettamente turistico è la Riserva Speciale Indri-Indri o Anamalazoatra dove si possono osservare i celebri Indri-Indri, ai quali spetta la palma di principali attrazioni del parco. Gli Indri-Indri sono i più grandi lemuri viventi arrivando a misurare quasi un metro di altezza. La loro caratteristica più curiosa sono gli incredibili vocalizzi che emettono di continuo e che è possibile riconoscere fino a tre km di distanza. Il nome malgascio di questi animali è babakoto (leggendo la lettera “o” come se fosse “u”) che letteralmente significa “padre del ragazzo”, a causa della leggenda che vorrebbe gli Indri

lunedì 10 dicembre 2012

Ile Sainte Marie

Ile Sainte Marie è un’isola lunga e stretta (quaranta km per appena cinque) situata a breve distanza dalla costa orientale del Madagascar. E’ il tipico paradiso tropicale dell’Oceano Indiano, con spiagge coralline e acque cristalline. Non è un’isola molto conosciuta,essendo  oscurata dalla fama di altre località colonizzate dai villaggi turistici come Nosy Be. Questo è il motivo per cui Ile Saint Marie rimane un luogo genuino e dove è ancora possibile stabilire una relazione autentica con la popolazione locale. Insieme alla sorella minore meridionale, Ile Aux Nattes, presenta altri motivi di interesse che arricchiscono questa esperienza di viaggio rendendola molto più che una semplice vacanza di mare.

Se oggi Ile Sainte Marie è internazionalmente conosciuta solo come meta vacanziera, nel XVII e XVIII secolo veniva identificata in maniera decisamente meno frivola. Ile Sainte Marie era conosciuta da tutti come l’isola dei pirati. Pirati veri, non personaggi di romanzi di appendice.

sabato 1 dicembre 2012

With Love From Madagascar

Propongo queste meravigliose immagini girate in Madagascar da due documentaristi, un'austriaca ed un tedesco, raccolte nel trailer di presentazione del loro progetto. Speriamo di vedere al più presto realizzato il film completo. Non si tratta solo di un affresco di questo incredibile paese, ma di un'occasione per descrivere la sua grande fragilità sociale ed ambientale, gli sforzi di una serie di volontari impegnati in varie iniziative e dell'amore che contagia chiunque venga in contatto con l' "Ile Rouge". Merita sicuramente di essere visto e rivisto.

martedì 20 novembre 2012

L'Iniqua Distribuzione della Ricchezza

Quando ero impegnato nello studio della filiera pataticola nel distretto di Kilolo, in Tanzania, ho avuto modo di saggiare tutte le fasi che interessano la produzione di questo tubero, dalla coltivazione alla commercializzazione e trasformazione “industriale”. Durante la stagione secca la coltivazione delle patate è ristretta alle aree di fondovalle, dove rimane costantemente un livello di umidità utile alla coltivazione. Nel raggiungere questi appezzamenti di terreno al seguito degli agricoltori, ho potuto constatare di persona quanto scoscesa fosse la discesa all’andata e ripida la salita al ritorno, sudandomi duramente questa fase dello studio. Le strade dove arrivavano i camion per la raccolta delle patate si trovavano sulle sommità delle colline, in molti casi ad alcune centinaia di metri di dislivello dai campi di fondovalle. Il dubbio che immediatamente mi ha assalito è stato: “Ma come diavolo fanno a trasportare i sacchi di patate fino a lassù?”. Gli agricoltori hanno convenuto che fosse un lavoro pesante per cui per il trasporto dei sacchi di patate (del peso medio di cento chilogrammi) assumevano dei lavoratori a giornata. I sacchi erano così pesanti che per caricarli sulle spalle occorrevano altri due lavoratori che li sollevassero,

domenica 14 ottobre 2012

Zanzibar, Anno 1690

Finalmente, di prua, apparve Unguja. Il gruppo comprendeva altre due isole più piccole, Pemba e Latham, ma quando i marinai parlavano di Zanzibar, di solito si riferivano a quell’isola. Era sormontata da una massiccia fortezza, costruita con blocchi di corallo bianco scintillante che splendevano al sole come un iceberg. I bastioni erano fitti di potenti cannoni. [...] Lo specchio d’acqua era congestionato da una massa d’imbarcazioni munite di alberi a prora e a poppa, ancorate in un disordine incredibile. Alcuni dei dhow oceanici erano grandi come la Seraph: appartenevano ai commercianti giunti fin lì dall’India, da Muscat e dal mar Rosso. Non c’era modo tuttavia di capire se fossero pirati: probabilmente lo erano tutti, se si presentava l’occasione. […]

Passando sotto la fortezza, ammainò i suoi colori in omaggio al rappresentante del sultano, poi diede fondo al limite della gittata delle batterie di cannoni. Aveva imparato da tempo a diffidare anche del più caloroso e aperto benvenuto di quello staterello africano.
Non appena furono ancorati, uno sciame di piccole imbarcazioni si fece avanti per salutarli, offrendo merci per alimentare qualunque vizio o esigenza, dalle noci di cocco verdi agli involti di foglie e fiori di bhang, che erano una droga, dai servizi sessuali di schiavetti e schiavette dalla pelle scura agli aculei di porcospino pieni di polvere d’oro. […]

mercoledì 10 ottobre 2012

Prima Marcia della Pace di Forlì-Cesena

Nel 2012, alla tradizionale marcia della Pace Perugia-Assisi, si sono aggiunte anche quelle di Forlì-Cesena, Lodi, Crema, Pavia, Siena e Milano. Come se il popolo italiano volesse gridare il suo bisogno di Pace sempre più forte. Il sito del Tavolo della Pace titolava: “Scommettiamo che faranno tutti finta di niente?”. E così puntualmente è stato. Domenica 7 Ottobre 2012 si è svolta la prima marcia della Pace della Provincia di Forlì-Cesena. I giornali locali cartacei e online hanno snobbato questo importantissimo evento, ed il buon successo è stato assicurato solamente dal passaparola e dal tam tam attraverso internet.
La marcia è stata intitolata ad Annalena Tonelli ed Ernesto Balducci, giganti della cultura di Pace e cooperazione fra i popoli.
Il tragitto prevedeva il primo tratto in bicicletta tra Forlì e Forlimpopoli, e poi gli ultimi 5 km a piedi da Forlimpopoli a Bertinoro, un luogo che sta alla Romagna come Assisi sta all’Umbria. Bertinoro infatti si candida  a baluardo romagnolo della Pace tra i popoli e le religioni, essendo la sede del Museo Interreligioso e dei corsi organizzati dai mediatori di Pace, ideale rilettura in chiave moderna della sua tradizione di ospitalità verso i forestieri.

La Carica dell'Elefante

Giugno 2000, un turista inglese in vacanza in Kenya, presso il famoso parco Masai Mara, commette l’azzardo di allontanarsi all’alba dal campo tendato presso cui era alloggiato. Nel tentativo di scattare una fotografia ad un gruppo di elefanti viene assalito e travolto dalla matriarca. Gennaio 2001, al Ruaha National Park una “Peace Corp” americana viene travolta dalla carica di un elefante dopo che si era allontanata dal veicolo su cui si trovava per scattare alcune fotografie. Luglio 2007, Patrick Smith e la moglie Julie vengono attaccati da un enorme elefante maschio all’interno del Masai Mara in Kenya. Julie si salva, ma per Patrick non c’è scampo.  Ottobre 2009, Anton Turner viene ucciso nel corso di un attacco di un elefante in Tanzania mentre accompagnava una troupe inglese della BBC che aveva lo scopo di girare un documentario sulla vita di David Livingstone. Giugno 2010, Sharon Brown e la piccola Margaux vengono uccise dalla carica di un elefante solitario nei pressi del monte Kenya.  Luglio 2010, una donna romana di 63 viene attaccata ed uccisa da un branco di elefanti anni mentre prendeva parte insieme al marito ad un safari a piedi nel nord della Tanzania. 
Questi sono alcuni (ma la lista sarebbe ben più nutrita) degli eventi tragici che riguardano attacchi mortali sferrati da elefanti nei confronti di turisti. Non c’è una statistica sugli attacchi nei confronti delle popolazioni locali, ma l’elenco è sicuramente più lungo.

sabato 22 settembre 2012

Tecnologia InformAfrica

La capacità di utilizzare un computer e di accedere al web sono divenute requisiti  essenziali anche per chi vive e lavora in paesi poveri. Esse permettono inoltre, a chi opera nell’ambito della cooperazione,  di trasmettere informazioni e immagini in tempo reale e di mantenere costantemente aperto un canale di  comunicazione nei confronti di partner e collaboratori esteri.  Senza questa opportunità il lavoro di associazioni come VolontariA, che si avvale nei paesi in cui opera esclusivamente di operatori locali, non sarebbe assolutamente possibile.
Grazie all’aiuto di Riccardo Ruffilli, Maurizio Da Ros e Nicola Battistoni di Informatici senza frontiere, ed alla generosità di Vanni Ricciardi e Fabio Malagoli, è stato possibile reperire 4 computer portatili che sono stati consegnati ai nostri referenti di progetto in Kenya e Tanzania. Crediamo che questo permetterà un salto di qualità del loro lavoro. VolontariA si è impegnata a finanziare corsi di informatica e di lingua inglese anche per gli altri collaboratori, in modo da poter ampliare la cerchia di lavoratori in grado di svolgere un lavoro qualificato ed essenziale come quello delle relazioni internazionali e della comunicazione.
Patrick Muthui, del Centro per Anziani di Wajir (Kenya)

John King'ori, del Centro per Anziani di Wajir (Kenya)

Spinola Matamwa, della Bomalang'ombe Village Company (Tanzania)

Virgilio Kihwele, del CEFA Bomalang'ombe (Tanzania)


mercoledì 22 agosto 2012

Il Diario dei Turisti Responsabili

Di seguito alcune parti del diario scritto dal gruppo di Trento nel corso del viaggio in Tanzania di Luglio.

Partiamo da Iringa alle ore 7.30, dopo aver acquistato farina e zucchero per la Primary School. Affrontiamo una strada sterrata con buche. Molte sono le persone che camminano lungo la strada; indossano vestiti multicolori e si recano alla messa. Le moto, le bici e le teste delle donne sono anche mezzi per il trasporto di merci (legna, sacchi di farina e taniche di acqua). Ad un certo punto l’ambiente diventa verde sia per le coltivazioni come granoturco, piselli, patate, sia per la vegetazione che cresce nei boschi (eucalipti, pini con aghi lunghi e sottili). Arriviamo a Bomalang’ombe alle 10.30 per assistere alla Messa: molto commovente la partecipazione della popolazione al rito, con balli e canti, il parroco che sta in mezzo alla chiesa durante la predica e ci invita a presentarci alla comunità.

lunedì 13 agosto 2012

Radio Shabelle

Abdu Jeylani Marshale era un comico radiofonico molto conosciuto in Somalia. E’ stato ucciso il 6 agosto mentre tornava a casa, giustiziato con un colpo alla nuca ed uno al torace.
Ahmed Ado Anshur era il conduttore di un talk show serale molto popolare. E’ caduto in un agguato di miliziani mentre si recava al lavoro, nella sede della radio a Mogadiscio.
Questi in ordine cronologico sono gli ultimi due operatori di Radio Shabelle a trovare la morte a causa del loro lavoro.
Da quando Radio Shabelle è stata fondata, nel 2002, dieci suoi collaboratori sono stati barbaramente uccisi. Tra questi anche due suoi direttori hanno perso la vita.
I motivi, se mai un omicidio può trovare una giustificazione, sono il dissenso verso le milizie fondamentaliste di Al Shaabab o le critiche che vengono rivolte al governo di transizione, colpevole di corruzione e appropriazione degli aiuti umanitari che abbondanti giungono in Somalia. 
http://www.repubblica.it/esteri/2012/02/05/foto/radio_shabelle_voci_dalla_paura-29385251/1/
Radio Shabelle è l’ultima voce dell’informazione libera rimasta in Somalia, e come tale viene continuamente sottoposta a minacce, attentati e ritorsioni.

sabato 21 luglio 2012

Storie di Successo

Abbiamo appena ricevuto da Wajir alcune storie che raccontano il buon esito raggiunto dalle attività generatrici di reddito promosse tra gli anziani del Centro. Il tono della comunicazione inviataci è giustamente pieno di orgoglio. I volontari e gli operatori del Centro Diurno per Anziani di Wajir stanno lavorando in un contesto durissimo. Alle difficoltà legate alle promozione di attività agricole e produttive in una zona siccitosa e desertica come quella di Wajir, si è aggiunto il clima di insicurezza e di violenza derivante dai continui attentati degli Shabaab, i fondamentalisti somali impegnati senza sosta a destabilizzare il Kenya.
Queste storie di successo rappresentano motivi di soddisfazione assolutamente fondamentali per andare avanti in condizioni ambientali così complicate.
La prima storia è quella di una nonna del centro, che ad Agosto 2011 ha beneficiato di una somma per stabilire un piccolo punto vendita presso il suo quartiere. Le vendite sono andate bene da subito, e la sua famiglia ha cominciato a beneficiare di una piccola ma costante fonte di reddito.

venerdì 13 luglio 2012

Turismo Responsabile in Tanzania: Intervista

Intervista radiofonica  trasmessa il 12 Luglio dall'emittente online "Afriradio", in cui Francesca spiega in cosa consiste la proposta di Turismo Responsabile in Tanzania di VolontariA e T-Erre.

   
   
   
   
   

lunedì 18 giugno 2012

Essere Bambini a Wajir

Propongo due brevi reportage trasmessi alcuni mesi fa da una televisione kenyana. Raccontano storie di bambini, e attraverso esse testimoniano cosa significhi vivere a Wajir.
Il primo video mostra la difficoltà dell’approvvigionamento idrico durante la siccità verificatasi alla fine del 2011 in tutto il Corno d’Africa. Spesso il rifornimento dell’acqua è affidato ai bambini, che sono costretti a percorrere fino a 25 km per raggiungere il punto di abbeverata più vicino. E’ questo il caso di Ayub Mohammed al quale a soli 7 anni spetta la responsabilità del trasporto dell’acqua e quindi della sopravvivenza della madre e dei fratellini.

Il secondo video racconta la storia di un ragazzo ipovedente, Mohammed Abdikerr, e delle difficoltà che incontra a scuola a causa della sua menomazione. Anche i cinque fratelli mostrano i sintomi della malattia agli occhi di Mohammed, ma a differenza sua non vanno a scuola. Ma le immagini documentano anche le condizioni della scuola di Mohammed, dove cinquecento ragazzi sono gestiti da solamente quattro eroiche insegnanti.

giovedì 14 giugno 2012

Rumba, Partigiano e Rivoluzionario

Rumba, al secolo Umberto Fusaroli Casadei, è stato per qualcuno un eroe della resistenza antifascista, per altri un volgare assassino. Sicuramente è stato un personaggio di spicco di una fase storica molto turbolenta, in Italia ed in Africa.
Umberto nasce a Bertinoro il 25 marzo 1927.   Il 1° Maggio 1944, durante l’eccidio di Bertinoro, i fascisti uccidono il padre Antonio, lo zio Gaetano ed il cugino. Umberto ha solo 17 anni. Questi tragici fatti rafforzano in lui i sentimenti partigiani, che già lo avevano indotto ad aderire alla Brigata Garibaldi Romagnola e successivamente alla 29esima GAP. Umberto diventa presto un feroce antifascista. In un’intervista del 2001, afferma di aver ucciso centinaia di fascisti sia prima che dopo la guerra, sentendosi orgoglioso per aver svolto così bene il suo dovere di partigiano. Queste esternazioni provocano una reazione violenta alcuni mesi dopo quando, un pacco bomba a lui indirizzato, scoppia presso gli uffici postali di Forlì ferendo due addetti in modo fortunatamente non grave. Negli anni ’70 si trasferisce con la moglie Marisa in Africa, per prendere parte ai movimenti rivoluzionari che animano il continente nero in quegli anni.

martedì 24 aprile 2012

A Pelo d'Africa

“A Pelo d’Africa” è un libro eccezionale. Pubblicato nel 1978, racconta il viaggio intrapreso dal giornalista Giorgio Torelli e dal comandante Pino Bellini alla volta del Congo per consegnare un piccolo aeroplano Piper ai missionari di Uvira, nel Kivu. Dopo ventitré giorni e diciassette atterraggi i due avventurieri arrivarono nell’odierna Bujumbura, in Burundi, da dove poi il Piper fu trasportato fino in Congo. I fatti risalgono all’anno 1962 e al tempo ebbero una notevole risonanza mediatica. La scintilla che mosse Torelli a progettare il viaggio fu la notizia che i missionari in Congo sarebbero rimasti al loro posto nonostante l’eccidio di Kindu, in cui tredici aviatori italiani furono trucidati dai guerriglieri.
Torelli decise di rispondere all’appello dei missionari e si adoperò per trovare un aeroplano che li potesse aiutare nella loro opera di evangelizzazione e di assistenza alla popolazione locale. Il piccolo Piper Eden sembrava troppo piccolo per affrontare un viaggio così lungo e difficile, ma il giornalista persistette e trovò nel comandante forlivese Bellini un coraggioso compagno di viaggio e sostenitore. Il 25 ottobre 1962 i due viaggiatori partirono dall’aeroporto di Forlì con due piccole valigie, uno scatolone contenente un presepe per i missionari, alcuni razzi di segnalazione ed un revolver.
Riporto due tra i brani che più mi hanno entusiasmato. Il primo riguarda il momento più critico di tutta la trasvolata, quando l’aeroplanino ha dovuto attraversare una tempesta di sabbia sul deserto libico, mentre i militari di una base militare americana negavano loro l’atterraggio di emergenza.
Bellini richiama, richiama e richiama ancora. Solo il vento con noi e noi con lui. Adesso non si vede neanche più Tripoli, procediamo a orizzonte artificiale dentro un tunnel di grigio imperlato. Roger, gracchia al quarto appello di Bellini la radio americana che a questo punto – appare chiaro ai condannati – risponde per obbligo internazionale di rapporto fra terra e cielo, ma se ne stropiccia, non gli piacciamo, ci siamo di troppo sul suo spazio, fuori dai piedi e dai pollici, se ci sfracelliamo è perché non dovevamo involarci.
Col fiato grosso come ho, sento che l’assoluto buio sui minuti avvenire ci separa da non so cosa, improbabilmente dalla salvezza, quasi certamente dall’addio; ho già indossato il tumulto dei sentimenti e anche quel lindore che forniscono i frammenti decisivi del tempo. Perciò avverto intera e mirabile la grandezza romagnola di Bellini che, strabattendosi della potenza americana, branca il microfono, picchia il pugno destro sull’apparato-radio e mentre governa con la salda sinistra quel che resta di noi – una scatola scossa – urla alla base atomica con quanto fiato gli resta: “Roger, ‘sti dù maròn!”.
Il secondo estratto racconta il sorvolo delle savane popolate dalla celebre fauna africana. I due si trovano, proprio nel momento di massima contemplazione di quel meraviglioso paesaggio, a fronteggiare un attacco di dissenteria del pilota che la mattina, per aspirare dell’olio versato in eccesso da un addetto dell’aeroporto di Juba nel motore del piper, era incorso in una involontaria quanto abbondante bevuta.
Mi par di leggere sul nero degli strumenti che stiamo a ottocento metri di quota, a moti e sbalzi da aquilone. E’ un’altezza irrilevante, si vede e si gusta tutto. Sotto di noi, come uno sterminato ventaglio, si sono schiuse le prospettive d’erba. Branchi puntiformi di animali, che sono certo gazzelle, antilopi e poi bufali e poi zebre e gnu, anche facoceri e loro parenti di radunata destinati a mangiare e bere, pellegrinare e percorrere le ore dall’alba alla luna, vanno disegnandosi sulla mappa di un terreno memorabile, colmo di gradazioni e grafiche. Dalle ombrelle delle acacie spuntano, e si contano, i colli lenti delle giraffe che non è escluso guardino in su. Dentro la cosa che fa rombo, c’è uno di Romagna con gli strizzoni, non è bello ridirlo ma è così. Io conto i colli delle giraffe e insisto a porgere l’imbuto, a tenere il volantino, a correggerlo, a pompare, vorrei fotografare, scrivere, meditare, ahi e ancora ahi dice la voce del comandante, stiamo puntando ai grandi laghi con le giraffe antidiluviane di sotto, gli occhi strabuzzati di sopra, le carezzevoli e ripetute sinuosità dell’Uganda, di sicuro il posto più bello che abbiamo rigato con un volo a strappi. Al nuovo ahi del comandante si disegnano le mandrie erbivore degli elefanti. Gli elefanti hanno movimenti di massa, un popolo in diaspora cronica, il grigio delle pelli sottostanti è chiazzato di sole, albero dopo albero.
E’ più bello l’elefante libero o la Gioconda al Louvre? Sento insorgere dal di dentro una voce di Adamo, essere qui così, come oggi, contenuti in un piccolo dramma ma liberi di agire in avanti perché il motore canta nitido e le ali reggono. In definitiva, questo sarà il momento da iscrivere a futura memoria e ripassare per il seguito di una vita europea, gl’inverni e le stagioni in dialetto che verranno.
M.L.

lunedì 9 aprile 2012

Zanzibar, Prigioniera del suo Passato

Zanzibar è un luogo dalle mille sfaccettature che a lungo in passato ha ricoperto un ruolo centrale nella storia. Oggi Zanzibar è conosciuta soprattutto come paradiso delle vacanze, un nome che tutti conoscono solamente perché visto campeggiare sulle vetrine delle agenzie turistiche. Tuttavia oggi, come in passato, essa rappresenta molto di più di questo.
Una doverosa premessa si impone per inquadrare geograficamente Zanzibar: Zanzibar è un arcipelago formato da oltre quaranta isole; le più grandi sono Pemba e Unguja. Quest’ultima è quella che viene universalmente definita come l’isola di Zanzibar. Zanzibar non è più nazione autonoma dal 1964, quando unendosi al Tanganyka entrò a far parte della Repubblica Unita di Tanzania.
Zanzibar è la terra d’origine della lingua Swahili, lingua commerciale nata tra il 1000 ed il 1500 come fusione delle lingue araba, persiana e bantu. Quando si trattò, dopo l’indipendenza della Tanzania, di scegliere il dialetto più adatto per rappresentare la nuova lingua dello stato fu scelto il Kiunguja, cioè lo swahili parlato a Zanzibar.
Il periodo glorioso di Zanzibar inizia nel 1840, quando il sultano dell’Oman Said trasferisce la capitale del proprio regno da Muscat a Zanzibar. Questa decisione fu presa perché l’isola presentava terreni fertili, aveva un buon porto e acqua potabile. Said introdusse la coltivazione dei chiodi di garofano, ed il terreno si dimostrò talmente adatto da permettergli di conquistare il monopolio mondiale di questa coltura.
Said strinse accordi commerciali con americani ed europei e sull’isola vennero a stabilirsi aziende mercantili e corpi diplomatici. In breve tempo Zanzibar divenne anche il principale mercato di schiavi ed avorio di tutta l’Africa orientale. I due commerci erano intimamente collegati perché a provvedere al trasporto dell’avorio erano gli stessi schiavi provenienti dall’Africa centrale. L’isola visse una spettacolare fioritura, diventando una sorta di Singapore del commercio afro-asiatico, abitata da una popolazione mista composta da arabi, africani, indiani ed europei.
In questi anni l’interesse degli europei, in particolare di Inghilterra e Germania, cresce proporzionalmente all’importanza economica dell’arcipelago fino a che, nel 1890, le due potenze si accordano e Zanzibar diventa formalmente protettorato britannico.
Nel 1856, anno di arrivo di Burton e Speke a Zanzibar, iniziano le grandi esplorazioni alla ricerca delle sorgenti del Nilo. Negli anni successivi arrivarono con lo stesso scopo anche Livingstone e Stanley. Durante il periodo delle grandi esplorazioni dell’Africa centrale e orientale, Zanzibar era la porta del continente, il luogo dove assoldare portatori e acquistare viveri e attrezzature per il lungo e difficile viaggio. Tramontata l’era del commercio delle spezie e trasferita la supremazia commerciale al porto di Dar es Salaam, questo arcipelago perde gradualmente di importanza diventando come oggi si presenta ai turisti, e cioè una terra povera di risorse e vagamente in declino.
Le sue coste rimangono meravigliose, ma tutte le principali attrazioni turistiche si identificano nel ricordo del perduto splendore: dai pochi lembi di foresta primaria rimasta agli edifici omaniti e arabi ormai abbandonati. L’antica capitale Stone Town, che per la sua architettura potrebbe tranquillamente essere una città araba, è patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO eppure non sembra che ciò la stia salvando dal degrado.
Lo sfruttamento turistico delle isole, che poteva rappresentare un’occasione di rilancio economico per tutta la popolazione, di fatto si è tradotto in un’epoca di neo-colonialismo, con la costruzione di villaggi turistici di proprietà dei grandi gruppi del settore dove i turisti vengono reclusi e separati dalla gente di Zanzibar. La dimostrazione è che ogni anno arrivano a Zanzibar quasi 150.000 turisti (di cui un terzo italiani), soprattutto nei periodi Luglio-Agosto e Dicembre-Gennaio, eppure, anche nei momenti di massimo afflusso, girando per le stradine di Stone Town se ne vedono pochissimi.
Una settimana all’anno però Zanzibar si sveglia dal suo torpore e diventa nuovamente il centro della cultura africana. E’ la settimana di “Sauti za Busara” (le voci della saggezza), uno dei due principali eventi musicali di tutta l’Africa. In questi giorni è possibile ascoltare la musica taarab zanzibarina, nata dalla commistione di tutte le culture che sono passate da qui nel corso dei secoli.
Considerare Zanzibar come un luogo dove rilassarsi al mare è terribilmente riduttivo; i muri di Stone Town, gli antichi palazzi omaniti, i luoghi dove venivano nascosti gli schiavi dopo l’abolizione della schiavitù e le vecchie farm dove venivano coltivate le spezie per l’esportazione sono luoghi che trasudano storia, prosperità e atrocità, ricchezza e declino.

M.L.

Zanzibar: Prisoner of its Past

Zanzibar is an interesting and complex place that covered a central role in past history. Today Zanzibar is known mainly as vacation’s paradise, that everybody knows for having seen its name on tourist agencies’ shop windows. Nevertheless today, as in the past, Zanzibar represents much more.
Some preliminary remarks must be duly done with the regard to its geography: Zanzibar is an archipelago composed by more than forty islands; the two biggest islands are Pemba and Unguja. This last is the one universally defined as Zanzibar island. Zanzibar isn’t independent nation anymore since 1964, when joining Tanganyka became part of United Republic of Tanzania.
Zanzibar originated Swahili language, commercial language born between 1000 and 1500 a.D. as a melting of arab, persian and bantu cultures. When it was to decide the most suitable dialect to represent the language of the newborn country Kiunguja , Zanzibar’s Swahili, was the one chosen.
The glorious period of Zanzibar began in 1840, when the Oman’s sultan Said moved the capital from Muscat to Zanzibar. He toke this decision because the island was characterized by fertile soils, had a good seaport and clean water available. Said pushed cloves’ cultivation, and the soil was so suitable to that crop to allow Zanzibar to conquer the world monopoly in clove production.
Said established commercial agreements with Americans and Europeans, and diplomatic delegations and trade companies opened offices on the island. In short time Zanzibar became the main market for slave trade and ivory in the whole eastern Africa. These two traffics where closely related, because ivory tusks were transported by slaves during their trip from central Africa.
The island lived a huge growth, becoming a sort of Singapore of afro-asian commerce, inhabited by a mixture of cultures: Arabs, Africans, Indians and Europeans.
During these years the interest of powerful countries, such as Great Britain and Germany, grew proportionally with the rise of Zanzibar’s economical importance until 1890, when the two contenders signed a treaty for the passage of the archipelago under the British crown.
In 1856 arrived in Zanzibar Burton and Speke, and officially started the world run to seek Nile’s springs. In the following years pursued the same purpose, starting from here, Livingstone and Stanley. During the period of the great explorations in eastern and central Africa, Zanzibar was the continent’s gate, the place where to hire porters and buy foodstuffs and equipments for the long and dangerous journey.
Once concluded the age of spices’ trading and transferred the commercial supremacy to Dar es Salaam seaport, these islands lost gradually their importance becoming how tourists can see today: a land with scarce resources and in decline.
Zanzibar’s costs remain marvelous, but all the main tourist attractions preserve the memory of the lost glory, from the few portions of the ancient primary forest to the old deteriorated Arab and Omani buildings currently abandoned.
The ancient capital Stone Town, a city that could be exchanged for an Arab settlement, is an UNESCO world heritage site nevertheless it doesn’t seem this is saving it from the decay.
The touristic exploitation of the archipelago could represent a chance to boost again the economy for all the population, but it has actually inaugurated an epoch of neo-colonialism, with the construction of villages owned by big tourism international companies where tourists are segregated far from the local culture and inhabitants.
The demonstration lies in the fact that every year about 150.000 tourists visit Zanzibar (a third of them are Italians), mainly during high season (December-January and July-August) and walking around Stone Town even during the peaks of the flux you can see very few of them.
However, during a week a year Zanzibar shakes from its torpidity and becomes again the centre for African culture. It’s the week of “Sauti za Busara”, one of the two most important African music festival. In these days is possible to hear the “taarab” music, born in Zanzibar from the fusion of all the cultures passed here across the centuries.
Consider Zanzibar as a place where to relax in the beach in front of a beautiful sea is terribly reductive; the walls of Stone Town, the ancient Omani buildings, the sites where slaves were kept after slavery abolition and the farms where spices were cultivated for international export exude history, prosperity and atrocity, richness and decadence.
M.L.

lunedì 5 marzo 2012

Progetto Bomalang'ombe: una storia di reale sviluppo

Il Villaggio di Bomalang'ombe (abbreviato "Boma") si trova sulle montagne della Tanzania centro-meridionale, in un'area estremamente  povera. Quando il CEFA (Comitato Europeo Formazione e Agricoltura) arrivò a Boma, nel 1994, il villaggio contava poco più di 3.000 abitanti. Oggi, grazie alle numerose attività promosse dal CEFA nel corso degli anni, il villaggio è cresciuto tanto da dover essere suddiviso in due comuni, Bomalang'ombe e Lyamko. Il CEFA è riuscito quindi a creare un luogo di immigrazione in ambito rurale, contrastando il grave fenomeno dell'urbanizzazione, che è causa di tanti problemi che affliggono i paesi del sud del mondo.
 I due villaggi insieme oggi contano circa 12.000 abitanti. Grazie all’intervento del CEFA sono state realizzate una centrale idroelettrica, un acquedotto, vie di comunicazione, una cooperativa che produce succhi di frutta, marmellate e salsicce, una falegnameria, oltre a tutti gli interventi nel settore sociale che hanno portato alla costruzione di due scuole primarie, un centro sociale, una sartoria ed un asilo.
In modo particolare la costruzione dell'acquedotto e delle 50 fontane ha abbattuto drasticamente il tasso di mortalità infantile per diarrea   neonatale, e la distribuzione di energia elettrica a circa 2.000 abitanti ha comportato un'evoluzione nei criteri costruttivi delle abitazioni (pavimentazioni in cemento, tetto in lamiera, muri in mattoni cotti), e un netto miglioramento della qualità della vita, grazie anche alla nascita di nuove attività commerciali.
Un altro intervento che ha prodotto un impatto grandioso sulla popolazione è stata la costruzione della strada che collega Boma alla via di comunicazione che porta ad Iringa, il centro urbano più importante della Tanzania meridionale. Quest'opera ha consentito e consente tuttora l'arrivo quotidiano dell'autobus, il mezzo per trasportare i prodotti da vendere sul mercato cittadino e per portare verso i villaggi ogni cosa, dal materiale edilizio ai fertilizzanti,  dai medicinali agli alimenti che non si trovano localmente.
Il CEFA vuole proseguire il proprio impegno negli anni a venire concentrandosi su altri villaggi del Distretto di Kilolo, che sono rimasti arretrati esattamente come lo era Boma prima del suo arrivo.

M.L.

Bomalang'ombe Project: a history of real development

Bomalang’ombe village (in short “Boma”) lies in Tanzania Southern Highlands, an extremely poor area. When CEFA (European Committee for Training and Agriculture)  arrived in Boma, in far 1994, the village counted just 3.000 inhabitants. Today, thanks to several activities promoted by CEFA during years, the village grew so much to be be divided in two municipalities, Bomalang’ombe and Lyamko. Cefa succeeded in to create a place of immigrations in a rural area, hindering the urbanization process which causes many of the problems affecting developing countries. 
The two villages together count nearly 12.000 people. Due to CEFA intervention were started an hydropower plant, an aqueduct, the main road, a cooperative producing juices, jams and sausages, a carpentry, besides all the activities in social sector such as the construction of two primary schools, a tailoring and a kindergarten.
In particular, the distribution of safe water to the population through 50 fountains drastically decreased infant mortality caused by dysentery. Furthermore, the generation of electric energy and its provision to 2.000 inhabitants produced an evolution in building criteria for houses (concrete floor, metallic roof, brick walls), a relevant improvement of life quality  and the proliferation of new economic activities.
The new road connecting Boma with one of the main cities in southern Tanzania, Iringa, determined probably the strongest impact on the population. This infrastructure allows to public transports to reach Boma and through them the population can transport agro-products toward city market, supply the village in a fast and cheap way food, fertilizers, building materials, medicines, etc.
CEFA wants to continue its commitment in future focusing Kilolo District, helping other villages that suffer the same situation of under-development present in Bomalang’ombe before 1994.   

M.L.

domenica 12 febbraio 2012

4 Ragioni per visitare il Ruaha National Park

Ho visitato il Parco Nazionale Ruaha più di dieci volte negli utlimi sei anni. Ho lavorato nella regione di Iringa quindi il Ruaha N.P. era la soluzione più semplice per sfruttare i brevi periodi di vacanza. E’ mia opinione che il Ruaha N.P. sia uno dei parchi più suggestivi ed emozionanti di tutta l’Africa orientale. Le ragioni principali per scegliere una visita del Ruaha N.P. sono:
Grazie allo scarso numero di visitatori (2.500 all’anno, contro gli oltre 250.000 che visitano il Serengeti) l’esperienza del Ruaha N.P. è una delle più selvagge che possano essere vissute in un parco africano. La maggior parte degli avvistamenti della fauna selvatica avviene nella più completa solitudine.
Il Ruaha N.P. è un tipico parco fluviale; ciò significa che tutto il Parco si sviluppa lungo il corso di un grande corso d’acqua (il fiume Ruaha appunto). Durante la stagione secca il fiume si riduce ad un piccolo torrente, che rappresenta l’unica fonte d’acqua nel raggio di centinaia di chilometri. Tutti gli animali devono convergere a questo fiume per abbeverarsi quindi è estremamente facile osservare la fauna selvatica. Spesso i predatori, che attendono le loro prede vicino al fiume, vengono avvistati durante la caccia. In questo Parco gli animali maggiormente predati dai leoni sono i bufali e secondariamente le giraffe. Ogni caccia lascia con il fiato sospeso!
Dopo l’annessione delle paludi dell’Usangu, Ruaha N.P. è divenuto il parco nazionale più esteso di tutta l’Africa, sorpassando il Kruger ed il Serengeti. Tuttavia l’area più adatta per vedere gli animali è relativamente ristretta e può essere coperta quasi interamente in un solo giorno.
Le poche strutture di accoglienza turistica presenti all’interno dei confini del Parco sono ben nascoste e mimetizzate nella natura. Ciò aiuta il visitatore a vivere una reale immersione nell’ecosistema africano. In ogni lodge o alloggio pubblico (le “banda” gestite dalla Tanapa) il turista si sente veramente calato nella natura e l’interazione diretta con gli animali selvatici è all’ordine del giorno. Ciò implica di osservare le regole di comportamento in presenza di animali e di seguire pedissequamente le istruzioni dei guardia-parco.
Suggerisco di visitare il Ruaha N.P. durante la stagione secca (da Giugno a Novembre) per osservare al meglio gli animali di grandi dimensioni. La stagione delle piogge (Dicembre-Maggio) è il periodo migliore invece per il bird-watching e per vedere la natura nella sua massima espressione di rigoglio e colore. Nella stagione umida di solito – ma non è una regola – è più difficile vedere i mammiferi.
Le due star del Ruaha N.P sono i leoni (il parco ne è letteralmente affollato) e i tragelafi o kudu (che si avvistano facilmente solo qui e al Selous), ma tutta la tradizionale fauna africana è qui ben rappresentata. L’unico membro della cerchia dei famosi “big five” che non si può vedere è il rinoceronte, che in Tanzania i turisti possono vedere esclusivamente a Ngorongoro.

M.L.

sabato 11 febbraio 2012

4 Reasons to visit Ruaha National Park

I went in Ruaha National Park more than 10 times in the last 6 years. I worked in Iringa region so Ruaha was the easiest park to visit during short holidays. In my opinion is one of the most exciting parks in whole East Africa. The main reasons to prefer the visit of Ruaha N.P. are:
Thanks to the low number of visitors (2.500 per year compared with Serengeti that hosts 250.000 visitors every year!) the experience in Ruaha N.P. is one of the wildest can be lived in Africa. Most of the game viewing occur in absolute isolation and solitude;
Ruaha N.P. is a typical river park, which means that all the park area is developed along a main river (Ruaha river). During the dry season the river is reduced to a small stream and represent the only source of water for hundreds of kilometers. All the wildlife must converge to the river so is very easy to see animals and very often predators can be observed during hunting. In this park the main prey for lions are buffaloes and secondary giraffes. All hunts are very breathtaking!
After the annexation of Usangu Swamp Ruaha N.P. became the biggest National Park in Africa, surpassing Serengeti and Kruger Park. Anyway, the main area useful for game viewing is relatively small and can be covered in one day.
All the tourist structures inside the park are hidden and well merged into nature. This helps to live a true immersion in African ecosystem. In every lodge and public huts (tourist bandas managed by Tanapa) the visitor is really inside nature and a direct interaction with wildlife is absolutely normal. Take care of your movements and follow suggestions and rules of park wardens.
I suggest to visit Ruaha N.P. from June to November (Dry season) to sight large game and predators. The rainy season (December-May) is very interesting for bird-watching and to see an explosion of colors and flowers. In rainy season usually – but is not a rule – is more difficult to see mammals.
In my opinion the two stars of Ruaha National Park are lions (the park is full of these predators) and kudus (easily sighted only here and in Selous), but all the traditional game are present. The only member of big five that you cannot see here is rhino, which can be viewed by tourists in Tanzania only in Ngorongoro.

M.L.

giovedì 26 gennaio 2012

Homeless

[...] So soltanto che certi registi realizzano film meravigliosi con budget miseri, superando ogni ostacolo. Altri fanno musica che nessuno vuole ascoltare, a parte forse un paio di pazzoidi, tuttavia nessuno riuscirebbe a distoglierli da quello che fanno, perchè bruciano di passione. Altri ancora non possono permettersi la grappa che li aiuta a scrivere ma, se per caso trovi qualche loro opera in rete e la scarichi, ti commuovi per come l'umanità si fonde con l'invendibilità, e capisci che i sentimenti più grandi germogliano sempre nel piccolo, nell'intimo, nel disperato. [...]
Da questo punto di vista, la donna più bella del mondo non può competere con la più miserevole puttana. Non esiste lusso che possa darti la sensazione di essere vivo come una sbornia presa coi tipi giusti, o come tastare un naso rotto se l'hai presa con quelli sbagliati. Soggiorno negli alberghi più belli del mondo, eppure una stanza che puzza di muffa in un quartiere in cui nessuno metterebbe volontariamente piede, ma abitata da qualcuno che ha un grande sogno, mi commuove più di un viaggio sulla Luna.

Testo tratto dal libro "Limit" di Frank Schatzing.


Galleria fotografia di Lee Jeffries, che ritrae in bianco e nero i volti di senzatetto incontrati in Europa e Stati Uniti.