Visualizzazione post con etichetta kilolo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta kilolo. Mostra tutti i post

martedì 20 novembre 2012

L'Iniqua Distribuzione della Ricchezza

Quando ero impegnato nello studio della filiera pataticola nel distretto di Kilolo, in Tanzania, ho avuto modo di saggiare tutte le fasi che interessano la produzione di questo tubero, dalla coltivazione alla commercializzazione e trasformazione “industriale”. Durante la stagione secca la coltivazione delle patate è ristretta alle aree di fondovalle, dove rimane costantemente un livello di umidità utile alla coltivazione. Nel raggiungere questi appezzamenti di terreno al seguito degli agricoltori, ho potuto constatare di persona quanto scoscesa fosse la discesa all’andata e ripida la salita al ritorno, sudandomi duramente questa fase dello studio. Le strade dove arrivavano i camion per la raccolta delle patate si trovavano sulle sommità delle colline, in molti casi ad alcune centinaia di metri di dislivello dai campi di fondovalle. Il dubbio che immediatamente mi ha assalito è stato: “Ma come diavolo fanno a trasportare i sacchi di patate fino a lassù?”. Gli agricoltori hanno convenuto che fosse un lavoro pesante per cui per il trasporto dei sacchi di patate (del peso medio di cento chilogrammi) assumevano dei lavoratori a giornata. I sacchi erano così pesanti che per caricarli sulle spalle occorrevano altri due lavoratori che li sollevassero,

sabato 22 settembre 2012

Tecnologia InformAfrica

La capacità di utilizzare un computer e di accedere al web sono divenute requisiti  essenziali anche per chi vive e lavora in paesi poveri. Esse permettono inoltre, a chi opera nell’ambito della cooperazione,  di trasmettere informazioni e immagini in tempo reale e di mantenere costantemente aperto un canale di  comunicazione nei confronti di partner e collaboratori esteri.  Senza questa opportunità il lavoro di associazioni come VolontariA, che si avvale nei paesi in cui opera esclusivamente di operatori locali, non sarebbe assolutamente possibile.
Grazie all’aiuto di Riccardo Ruffilli, Maurizio Da Ros e Nicola Battistoni di Informatici senza frontiere, ed alla generosità di Vanni Ricciardi e Fabio Malagoli, è stato possibile reperire 4 computer portatili che sono stati consegnati ai nostri referenti di progetto in Kenya e Tanzania. Crediamo che questo permetterà un salto di qualità del loro lavoro. VolontariA si è impegnata a finanziare corsi di informatica e di lingua inglese anche per gli altri collaboratori, in modo da poter ampliare la cerchia di lavoratori in grado di svolgere un lavoro qualificato ed essenziale come quello delle relazioni internazionali e della comunicazione.
Patrick Muthui, del Centro per Anziani di Wajir (Kenya)

John King'ori, del Centro per Anziani di Wajir (Kenya)

Spinola Matamwa, della Bomalang'ombe Village Company (Tanzania)

Virgilio Kihwele, del CEFA Bomalang'ombe (Tanzania)


lunedì 5 marzo 2012

Progetto Bomalang'ombe: una storia di reale sviluppo

Il Villaggio di Bomalang'ombe (abbreviato "Boma") si trova sulle montagne della Tanzania centro-meridionale, in un'area estremamente  povera. Quando il CEFA (Comitato Europeo Formazione e Agricoltura) arrivò a Boma, nel 1994, il villaggio contava poco più di 3.000 abitanti. Oggi, grazie alle numerose attività promosse dal CEFA nel corso degli anni, il villaggio è cresciuto tanto da dover essere suddiviso in due comuni, Bomalang'ombe e Lyamko. Il CEFA è riuscito quindi a creare un luogo di immigrazione in ambito rurale, contrastando il grave fenomeno dell'urbanizzazione, che è causa di tanti problemi che affliggono i paesi del sud del mondo.
 I due villaggi insieme oggi contano circa 12.000 abitanti. Grazie all’intervento del CEFA sono state realizzate una centrale idroelettrica, un acquedotto, vie di comunicazione, una cooperativa che produce succhi di frutta, marmellate e salsicce, una falegnameria, oltre a tutti gli interventi nel settore sociale che hanno portato alla costruzione di due scuole primarie, un centro sociale, una sartoria ed un asilo.
In modo particolare la costruzione dell'acquedotto e delle 50 fontane ha abbattuto drasticamente il tasso di mortalità infantile per diarrea   neonatale, e la distribuzione di energia elettrica a circa 2.000 abitanti ha comportato un'evoluzione nei criteri costruttivi delle abitazioni (pavimentazioni in cemento, tetto in lamiera, muri in mattoni cotti), e un netto miglioramento della qualità della vita, grazie anche alla nascita di nuove attività commerciali.
Un altro intervento che ha prodotto un impatto grandioso sulla popolazione è stata la costruzione della strada che collega Boma alla via di comunicazione che porta ad Iringa, il centro urbano più importante della Tanzania meridionale. Quest'opera ha consentito e consente tuttora l'arrivo quotidiano dell'autobus, il mezzo per trasportare i prodotti da vendere sul mercato cittadino e per portare verso i villaggi ogni cosa, dal materiale edilizio ai fertilizzanti,  dai medicinali agli alimenti che non si trovano localmente.
Il CEFA vuole proseguire il proprio impegno negli anni a venire concentrandosi su altri villaggi del Distretto di Kilolo, che sono rimasti arretrati esattamente come lo era Boma prima del suo arrivo.

M.L.

Bomalang'ombe Project: a history of real development

Bomalang’ombe village (in short “Boma”) lies in Tanzania Southern Highlands, an extremely poor area. When CEFA (European Committee for Training and Agriculture)  arrived in Boma, in far 1994, the village counted just 3.000 inhabitants. Today, thanks to several activities promoted by CEFA during years, the village grew so much to be be divided in two municipalities, Bomalang’ombe and Lyamko. Cefa succeeded in to create a place of immigrations in a rural area, hindering the urbanization process which causes many of the problems affecting developing countries. 
The two villages together count nearly 12.000 people. Due to CEFA intervention were started an hydropower plant, an aqueduct, the main road, a cooperative producing juices, jams and sausages, a carpentry, besides all the activities in social sector such as the construction of two primary schools, a tailoring and a kindergarten.
In particular, the distribution of safe water to the population through 50 fountains drastically decreased infant mortality caused by dysentery. Furthermore, the generation of electric energy and its provision to 2.000 inhabitants produced an evolution in building criteria for houses (concrete floor, metallic roof, brick walls), a relevant improvement of life quality  and the proliferation of new economic activities.
The new road connecting Boma with one of the main cities in southern Tanzania, Iringa, determined probably the strongest impact on the population. This infrastructure allows to public transports to reach Boma and through them the population can transport agro-products toward city market, supply the village in a fast and cheap way food, fertilizers, building materials, medicines, etc.
CEFA wants to continue its commitment in future focusing Kilolo District, helping other villages that suffer the same situation of under-development present in Bomalang’ombe before 1994.   

M.L.

domenica 26 dicembre 2010

Storia di Ordinaria Povertà

Qualche giorno fa Joseph è entrato in ufficio con un po’ di titubanza per parlarmi del problema di un suo compagno ma, trovata l’atmosfera adatta ha cominciato a raccontarmi la sua storia. E’ nato in una famiglia abbastanza benestante e i primissimi anni della sua fanciullezza sono trascorsi nella pace. Il padre aveva un lavoro ben retribuito, la mamma coltivava i campi. Erano 4 fratelli di cui lui era il maggiore. Purtroppo questa situazione ha cominciato a cambiare quando il padre si è lasciato coinvolgere da un compagno di lavoro in un affare losco, si è dato all’alcool e alle donne. Tornava a casa solamente per lasciare qualche soldo per i figli Un giorno il datore di lavoro scoprì di essere stato derubato da lui e i suoi compagni; lo portò in un luogo di stregoneria ed egli ritornò a casa irriconoscibile. Joseph piange quando spiega lo shock che ha avuto nel vedere suo padre così cambiato: urlava, batteva sua mamma e suoi fratelli. Lui, il più grande, scappò dalla paura e andò a vivere dalla nonna. Un giorno il padre, in preda alla follia, afferrò il figlio più piccolo, di circa 5 anni, lo picchiò e lo trascinò nel bosco. Camminarono per lunghe ore. Il padre sempre più furioso entrò in una casa di un villaggio lontano: cominciò ad imprecare dicendo che voleva le sue mucche e capre. Gli abitanti della casa spaventati presero bastoni per difendersi e lo malmenarono fino a rompergli le gambe. Poi lo lasciarono nel bosco. Il bambino vagò per un po’, e poi cadde sfinito nel bosco lontano dal padre.


Qualche passante riconobbe il padre e portò la notizia alla famiglia che lo venne a prendere e riportare a casa. Quando lo videro, la mamma e i fratelli disperati gli chiesero dove aveva lasciato il piccolo. Egli, ritornato in sé, indicò il luogo. Joseph e la mamma corsero a cercare il piccolo.

A questo punto del racconto Joseph fa grande fatica a continuare: e’ sopraffatto dal dolore. Descrive suo fratellino con tanto amore: era bello, sano, allegro e intelligente. Lo abbiamo trovato riverso al suolo, morto. Le formiche legionarie, le siafu, ne avevano divorato i visceri.


Joseph dice con forza: “sister, quel giorno ho cominciato a odiare mio padre: per me lui era solo un animale della terra, di quelli che mangiano animali sotto terra. La mamma ha dovuto vendere tutti i nostri beni per pagare i debiti di mio padre. Siamo rimasti perfino senza casa. Mi sono ammalato e mi hanno portato nell’ospedale della città’. Lì il Signore mi aspettava per salvarmi. Una missionaria della Consolata che visitava gli ammalati mi ha visto in pericolo di morte e mi ha battezzato….Io sono sicuro che la Grazia di Gesù mi ha conquistato; tornato a casa ho cominciato a pregare e pian piano ho trovato la forza di perdonare mio padre e di insegnargli la Parola di Dio. Poi, dopo alcuni anni, finito le elementari desideravo tanto proseguire gli studi ma mia madre, molto ammalata, non poteva pagare le spese. Sono andato in città a cercare lavoro e qui un’altra missionaria della Consolata e’ stato lo strumento di Dio per darmi consolazione e speranza. Ella mi ha offerto di venire in questo Centro dove oggi sto bene perché qui c’é pace, bontà e lo studio mi apre un mondo che non conoscevo. Ho anche la possibilità di aiutare con la preghiera e il consiglio i miei compagni provati come me da esperienze tristi”.

Nel Centro Joseph è davvero una presenza buona, positiva e anche coraggiosa. E’ forte con i compagni che non fanno bene, li accompagna e se vede che le fanno troppo grosse ce li indica perché noi possiamo prendere i provvedimenti necessari per aiutarli a cambiare. Ne ha già salvati alcuni da comportamenti che avrebbero potuto portare serie conseguenze alla loro giovane vita.


Mi dice anche che sovente pensa con preoccupazione alla mamma, molto ammalata, che si trascina nel campo per coltivare un po’ di granoturco e verdure per tirare avanti e nutrire il padre disabile e i due figli che frequentano ancora la scuola. Joseph, quando trova un po’ di tempo libero dagli impegni del Centro, coltiva un campicello e ne vende il raccolto per pagare le spese di studio del fratello che frequenta le secondarie.


Quest’anno Joseph finisce la quarta classe e lascerà il Centro.

Questa testimonianza è stata raccolta da Suor Zita del centro di formazione secondaria "Nyota ya Asubuhi" di Ilamba.

martedì 19 ottobre 2010

Turismo Responsabile a Bomalang'ombe

Di seguito una carrellata di fotografie scattate a Bomalang'ombe nel corso del viaggio di turismo responsabile organizzato da VolontariA e T-Erre lo scorso settembre.

domenica 11 luglio 2010

Udzungwa Scarp

La Riserva Forestale di Udzungwa Scarp è una delle maggiori aree forestali che coprono la catena dei Monti Udzungwa, situati nella Tanzania centro-meridionale. Essa copre una superficie di circa 220 km2 sul versante sud-orientale della catena montuosa. Insieme al Parco Nazionale dei Monti Udzungwa, che rappresenta la sua continuazione settentrionale, costituisce un’area protetta di eccezionale valore ecologico, biologico ed ambientale. I Monti Udzungwa infatti rappresentano una porzione dell’Arco Orientale, una serie di rilievi montuosi che anticamente costituivano un’unica catena che attraversava da sud a nord tutta la Tanzania per terminare in Kenya.

L’erosione che ha avuto naturalmente luogo nel corso di milioni di anni ha provocato una parcellizzazione dell’antica catena in tante “isole” di rilievi coperti di foresta ed ecologicamente separate le une dalle altre da profondi avvallamenti caratterizzati da clima ed altitudine profondamente diversi. In questo modo l’evoluzione delle specie di animali e piante è proseguita in ognuno di questi segmenti montuosi in modo autonomo, dando origine ad una estrema biodiversità concentrata in superfici relativamente piccole. E’ grazie al grande numero di nuove specie scoperte e ancora da scoprire che i Monti Udzungwa si sono meritati l’appellativo di “Galapagos d’Africa”.

Un aspetto importante dell’Udzungwa Scarp è che la sua foresta primaria si estende lungo le pendici delle montagne partendo da un’altitudine di circa 400 metri s.l.m., con un caratteristico paesaggio di savana, fino ad un’altitudine di 1900 metri s.l.m., con un clima completamente diverso caratterizzato da abbondanti piogge e freddo intenso. All’interno di questa ampia varietà di ecosistemi si sono evolute e differenziate centinaia di specie di animali e piante, oltre a tutte le specie che hanno colonizzato successivamente questi luoghi e che si possono trovare anche in altre aree.

Tra le specie animali che si possono trovare solo nell’Udzungwa Scarp, ed in particolare in una piccola zona della riserva, la storia più curiosa riguarda la “Rana mammifera” (Nectophrynoides asperginis), così chiamata perché è ovovivipara e cioè non depone uova ma dà alla luce girini vivi. Il suo habitat sono le cascate di Kihanzi, e perché il suo ciclo biologico si completi sono necessarie proprio la corrente e gli spruzzi delle cascate. Kihanzi è sito scelto nel 2000 per la realizzazione di un gigantesco impianto idroelettrico, costruito grazie ad un progetto della Banca Mondiale da 270 milioni di dollari . L’opera di presa dell’acqua avrebbe modificato il naturale corso delle cascate minacciando così la sopravvivenza della rana mammifera. Grazie al grande lavoro delle associazioni di ambientalisti e agli studi dei biologi è stato possibile modificare il progetto originario in modo da conservare una nicchia ecologica per le rane.

Udzungwa Scarp è straordinariamente ricca di anfibi e rettili unici di queste zone, mentre i mammiferi più diffusi sono cinque specie di primati (colobo rosso, colobo bianco e nero, la scimmia di Syke’s, galagoni, cercocebo di Sanje), iraci, leopardi (nella parte più bassa della foresta), piccole antilopi e numerose specie di piccoli mammiferi che abitano il sottobosco. Tra questi il più simpatico è sicuramente il rincocione, un toporagno-elefante caratteristico dell’Africa orientale. Una nuova specie di rincocione è stata scoperta recentemente dai ricercatori del Museo Tridentino proprio sui Monti Udzungwa.

http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/esteri/topo-tanzania/1.html

La foresta dell’Udzungwa Scarp è seriamente minacciata dall’attività umana e dall’espansione degli insediamenti che si trovano lungo i confini della riserva. Purtroppo lo status di Riserva Forestale non garantisce le stesse misure di protezione che difendono i Parchi Nazionali, per cui attività illegali di bracconaggio ed il taglio indiscriminato degli alberi della foresta fanno sorgere interrogativi e preoccupazioni in merito alla sopravvivenza di questo straordinario quanto fragile ecosistema.

Un modo per aumentare l’interesse nei confronti di questa Riserva potrebbe essere quello di pubblicizzarne lo sfruttamento nel contesto di progetti di Ecoturismo. Il Museo Tridentino di Scienze Naturali ha provato ad esplorare questa possibilità, purtroppo con modesti risultati. Infatti il trekking in foresta non garantisce la stessa spettacolarità di un safari (gli alberi fitti ostacolano la visione della fauna) ed è tutt’altro che ricco di comfort. In più, come se non bastasse, il governo tanzaniano, forse per evitare le invasioni (per altro improbabili) di turisti nelle aree protette, ha burocratizzato pesantemente l’accesso alle Riserve Forestali imponendo il pagamento di una quota giornaliera superiore a quella del parco nazionale da effettuare esclusivamente negli uffici di Morogoro, a centinaia di km cioè dall’ingresso in foresta.

Tutte queste misure non hanno impedito, a mia moglie e me, di sperimentare il primo tratto di un trekking che attraversa tutta l’Udzungwa Scarp da Masisiwe (villaggio a circa 1900 metri) fino a Chita, che sorge lungo le sponde del fiume Kilombero proprio ai piedi della catena degli Udzungwa. La nostra meta era Kihanga (S 08°22’19,7”, E 35°58’52,9”) a 1692 s.l.m., che si trova a 11,2 km in linea d’aria dal villaggio di Masisiwe. La durata prevista era di 4 ore di marcia con i portatori. Malauguratamente abbiamo ritenuto di potere fare senza, ed il tempo di percorrenza e la fatica si sono dilatati sensibilmente (noi abbiamo impiegato circa 6 ore).

Gli abitanti di Masisiwe millantano di riuscire a raggiungere Chita in 8 ore, ma se dovessi prevedere un trekking considererei tre giorni di cammino per completare il percorso.

Kihanga è il campo base a cui si sono appoggiate tutte le spedizioni esplorative dell’Udzungwa Scarp, dove cioè i ricercatori e i naturalisti hanno montato i campi in grado di ospitare loro e le attrezzature necessarie allo studio della foresta e dei suoi abitanti.


Kihanga non è altro che una minuscola radura in mezzo alla foresta pluviale, la cui caratteristica principale è quella di trovarsi in prossimità di una sorgente di acqua purissima e trasparente assolutamente potabile, che forma fra l’altro un laghetto ideale per lavarsi.

Come detto gli unici componenti della spedizione eravamo mia moglie ed io, guidati da un anziano abitante del villaggio di Masisiwe, Stephan Kayage, che la comunità locale ha scelto per guidare le spedizioni dei visitatori che desiderano inoltrarsi nella foresta.

Stephan non aveva scarpe ed il solo bagaglio era una tanica di pombe (alcolico ottenuto dalla fermentazione del mais), due canne da zucchero ed un machete. Tutto il suo sostentamento di due giorni di marcia era contenuto in questi oggetti.

Noi eravamo stracarichi, con abbigliamento tecnico, tenda, cibo e acqua in quantità. A noi le nostre provviste sono risultate decisamente scarse.

La foresta si è rivelata una prova molto più dura del previsto, a causa del clima umido, i duri dislivelli e i tronchi abbattutti che ostacolavano il cammino, ma ci ha regalato emozioni indescrivibili. Purtroppo nei due giorni che siamo rimasti sui monti Udzungwa non abbiamo trovato il tempo per un’esplorazione del territorio circostante il campo. Appena arrivati al campo base infatti abbiamo acceso il fuoco, piantato la tenda, consumato il pasto e ci siamo fiondati immediatamente a dormire. Eravamo stremati.

Non ci sono sfuggiti però i rumori della notte, le voci dei milioni di esseri viventi che popolano la foresta. Di giorno quest’ambiente sembra disabitato, ma di notte la vita esplode letteralmente. Siamo riusciti a registrare il verso dell’irace arboricolo, il cui gracchiare sovrasta tutte la altre voci notturne.

Ci piacerebbe un giorno, forti dell’esperienza accumulata, completare il tragitto fino alla pianura del Kilombero, fino a Chita. In quell’occasione però ci faremo accompagnare da dei portatori, gente allenata ed esperta che non conosce la fatica.

M.L.

domenica 16 maggio 2010

Un Diritto Negato

Tilivon ha 16 anni, ed è figlio del catechista del villaggio di Bomalang’ombe. E’ uno studente esemplare, ed i buoni risultati conseguiti durante la scuola primaria gli hanno consentito di accedere ad una scuola secondaria pubblica. Purtroppo, conformemente alle normative riguardanti la distribuzione degli studenti nella scuola pubblica, è stato destinato alla una scuola di Tunduru, che si trova a circa 500 chilometri da casa sua. Queste leggi, apparentemente crudeli, sono state introdotte dal primo presidente della Tanzania, Nyerere, allo scopo di formare classi composte da ragazzi provenienti da regioni diverse. In questo modo i ragazzi sono abituati fin da piccoli a frequentare un ambiente multietnico e ciò a contribuito a rendere la Tanzania uno dei pochi paesi dell’Africa a non conoscere tensioni sociali di matrice etnica. Trifon probabilmente non è al corrente del motivo per cui è costretto a rivedere la propria famiglia una volta all’anno affrontando un viaggio lungo e costoso, però accetta con gioia questa situazione perchè gli consente di studiare nella scuola secondaria.
Ayubo e Titus provengono da Kitemela, una piccola comunità rurale di poche centinaia di anime. Per arrivare al loro villaggio si è costretti a percorrere una strada sconnessa che è transitabile dalle auto pochi mesi all’anno. Le loro famiglie, come tutte quelle di Kitemela, traggono le proprie risorse dal lavoro dei campi e non possono permettersi di pagare la retta scolastica né le altre spese. Ogni studente infatti deve provvedere autonomamente all’acquisto del materiale scolastico, della divisa, del materasso, del cibo, del sapone, delle stoviglie, e di tutto l’occorrente per vivere lontano da casa propria. Ayubo e Titus sono i primi due abitanti del loro villaggio ad entrare nella scuola secondaria.





Jemaida vive a Mbawi, un villaggio situato sulle montagne della Tanzania meridionale. Frequenta la scuola secondaria a Masisiwe, che dista a piedi da casa sua un paio d’ore. Ogni giorno quindi Jemaida si alza molto prima dell’alba per arrivare puntuale a scuola per farvi poi ritorno alcune ore dopo il tramonto. Eppure, nonostante le difficoltà che la frequenza della scuola implica, Jemaida è una bambina fortunata perché, a differenza della maggior parte dei suoi coetanei di Mbawi, può ricevere un’istruzione che forse un giorno le consentirà di trovare un buon lavoro e quindi guadagnare abbastanza soldi da mantenere la sua famiglia.






Queste sono solo alcune delle storie dei ragazzi che beneficiano del progetto di Sostegno Scolastico di VolontariA onlus. La Tanzania è uno dei paesi dell’Africa con la più alta frequenza nelle scuole primarie (97 % - fonti Unicef), mentre è uno degli ultimi al mondo in fatto di accesso all’istruzione secondaria (4,8% - fonti Unesco). Mentre infatti le scuole primarie sono pressoché gratuite, le scuole secondarie rappresentano per le famiglie una spesa proibitiva. I pochi ragazzi che guadagnano per merito scolastico il diritto di accedere alla scuola governativa, dal costo accessibile, sono costretti a frequentarla lontano dal villaggio natale, e quindi a sostenere elevatissimi costi di vitto, alloggio e di trasporto. Quelli invece che potrebbero frequentare soltanto una scuola secondaria privata, seppur vicina a casa, devono pagare rette annuali onerosissime. In un modo o nell’altro una famiglia media tanzaniana dal reddito di circa 400 dollari all’anno, non può permettersi gli studi secondari dei propri figli. Il risultato è che spesso due o tre famiglie di parenti scelgono di unire le proprie misere finanze e di riservare questo privilegio a soltanto uno tra tutti i loro figli. Purtroppo la moderna vita cittadina richiede questo genere di qualifica per l’assunzione ad un lavoro dignitoso, completando quindi il meccanismo che perpetua la spirale di povertà.



L’istruzione è uno fra i più elementari diritti dell’essere umano e non c’è genitore in Tanzania che non sarebbe disposto a qualunque sacrificio per garantire questo diritto ai propri figli. La considerazione più dolorosa è che quello che è impossibile per due genitori in Tanzania, e cioè il pagamento della retta scolastica per uno dei propri figli, rappresenta uno sforzo assolutamente esiguo per un abitante del mondo cosiddetto evoluto: con 250 euro all’anno si può far fronte a questa spesa e garantire l’istruzione ad uno studente africano. E’ possibile che non si riesca a donare il superfluo per garantire l’essenziale ad un nostro simile?

M.L.

lunedì 30 novembre 2009

Il progetto Kilolo

Di seguito propongo il filmato, trasmesso da RaiTre il 10 Novembre 2009, relativo al Progetto di Sviluppo Agricolo di Kilolo. Dopo quindici anni di straordinari interventi a favore della comunità del villaggio di Bomalang'ombe, l'ONG italiana CEFA lancia questa interessante iniziativa allo scopo di estendere i benefici derivanti dalla sua presenza competente ed esperta ai villaggi di un intero Distretto.
Il settore scelto per segnare questo passaggio è l'agricoltura, dal momento che consente di raggiungere un ampio numero di beneficiari e perchè incide direttamente sul reddito del 90% delle famiglie tanzaniane.
Questo progetto è realizzato dal CEFA Onlus con il sostegno tecnico ed economico del Consorzio delle Buone Idee di Bologna.