20 novembre 2024
Neema craft, Iringa
È stato
un piccolo capitolo della mia vita durato 25 giorni, ma così
importante, così intenso, così diverso, così naturale, così
indispensabile per conoscersi e per conoscere.
Per conoscere
l'indispensabile nella nostra vita. Per capire che ciò che noi
consideriamo indispensabile non lo è davvero.
L'acqua tutto il
giorno non è indispensabile. La luce non è indispensabile. Mangiare
sempre cose diverse, buone, cucinate con impegno, non è
indispensabile.
L'amore è indispensabile.
Prendersi cura
delle altre persone è indispensabile. Sorridere è
indispensabile.
Studiare lo è.
Eppure questo lo
capisci quando lo vedi e lo vivi.
Siamo al Neema Craft,
mille comodità in più e già si fa fatica a rinunciarne. Doccia,
divanetto comodo, cibo molto buono, regalini.
E la povertà
la vedi meno, te ne dimentichi se non la vivi.
Spero di non
dimenticarmela.
Le case in mattoni rossi, una sola stanza per
tutte, senza finestre, porta in legno. E si vive.
Vorrei
vivere con quello che ho vissuto per sempre nel cuore. Riviverlo.
Condividerlo. Testimoniarlo. Non dimenticare, non fregarsene.
Non
dimenticare i volti che ho incontrato, le loro vite, le loro fatiche,
la loro grande gioia e gratitudine.
Elena & Alice
mercoledì 12 marzo 2025
L'indispensabile
sabato 23 aprile 2022
Turismo Responsabile in Tanzania
Promozione del lavoro locale
VolontariA è una organizzazione di volontariato e promuove la visita ai propri progetti in collaborazione con le agenzie viaggio gestite integralmente da personale locale. La direzione tecnica del viaggio è quindi a carico del pertner locale.
giovedì 20 marzo 2014
Tecnologia InformAfrica (2)
sabato 10 agosto 2013
Il Sito Archeologico di Isimila
mercoledì 22 agosto 2012
Il Diario dei Turisti Responsabili
lunedì 5 marzo 2012
Progetto Bomalang'ombe: una storia di reale sviluppo
Bomalang'ombe Project: a history of real development
domenica 12 febbraio 2012
4 Ragioni per visitare il Ruaha National Park
sabato 11 febbraio 2012
4 Reasons to visit Ruaha National Park
giovedì 13 gennaio 2011
Un Artista Incompreso
Uno dei personaggi più curiosi che ho conosciuto durante i due anni trascorsi in Tanzania è stato sicuramente Simiga. Simiga era un esponente inconsapevole dell’arte di strada. Ma a differenza degli artisti di strada del mondo occidentale, non si limitava ad esibirsi nel corso di festival o sagre, bensì la strada rappresentava il teatro della sua attività ogni singolo giorno della sua esistenza. La sua bottega-baracca si trovava lungo una delle strade principali di Iringa, i suoi dipinti si asciugavano sopra l’asfalto, i materiali che utilizzava erano vernice per auto e stoffe a basso costo, si occupava personalmente di vendere le sue opere là dove sapeva che avrebbe trovato qualcuno disposto ad acquistarle, anche a costo di percorrere decine e decine di chilometri in bicicletta.

Simiga era l’allievo più dotato di Kapo, un famoso pittore della Tanzania meridionale che ha decorato chiese e missioni con le sue opere. Simiga non ha avuto lo stesso successo, e ha dovuto ripiegare sulla produzione in serie di dipinti da vendere a turisti e negozi di souvenir. Si teneva molto informato sui movimenti intorno alle missioni situate intorno ad Iringa, e dopo l’arrivo di un gruppo di visitatori dall’Europa o dagli Stati Uniti capitava spesso di vederlo arrivare con la bicicletta carica dei suoi dipinti. Aveva uno stile tutto suo, che non piaceva a tutti. Tuttavia non ha mai voluto cambiare la sua personalissima impronta per rendere le sue opere più commerciali.
Simiga aveva una particolarità anatomica, qualcosa di piuttosto singolare per uno pittore: era decisamente strabico.
Il suo capolavoro, la sua Cappella Sistina, è la decorazione dell’asilo di Bomalang’ombe. Anni fa gli fu richiesto di dipingere i muri esterni ed interni dell’asilo della chiesa cattolica di Bomalang’ombe con figure legate alla storia di Gesù, e ciò gli richiese molti mesi di lavoro. Come tutti i grandi artisti, utilizzò il proprio volto per raffigurare quello di Gesù: oggi si può ammirare, sui muri esterni di quell’asilo, un meraviglioso Cristo strabico che benedice folle di bambini. I molti mesi di lavoro a Boma portarono anche frutti inattesi: ci sono molti bambini nel villaggio che assomigliano in maniera sospetta a Simiga, ed il loro sguardo strabico non lascia dubbi sull’identità del loro padre.
Simiga era uno delle persone che avevamo scelto di aiutare come associazione di volontariato. Acquistavamo i suoi dipinti in grande quantità e li rivendevamo in Italia nelle bancarelle che allestivamo nel corso delle varie fiere e feste alle quali partecipavamo. I proventi di queste vendite, secondo la formula per noi consueta, andavano a costituire il fondo a disposizione per il sostegno scolastico. Devo dire che si era creato un buon numero di estimatori dei suoi lavori, i quali spesso si ripresentavano fiera dopo fiera per vedere e comprare i nuovi dipinti di Simiga.
Eravamo riusciti a creare un sistema vantaggioso per entrambi; gli ordinavamo telefonicamente un certo numero di dipinti, che poi durante il nostro viaggio in Tanzania passavamo a ritirare. Simiga non aveva mai avuto dei committenti così regolari, e forse per la prima volta in vita sua aveva uno stipendio su cui contare. La bottega di Simiga era divenuta anche un’attrazione per le persone che ci accompagnavano nei viaggio, una specie di luogo di pellegrinaggio per i suoi fan italiani.
Nel 2009, nel corso del tradizionale viaggio di turismo responsabile, non abbiamo più trovato la sua bottega. I negozianti vicini ci hanno informato che era morto da qualche settimana a causa dell’HIV. Se ne è andato così nell’anonimato più completo un vero artista che non ha mai assaporato il successo ma che ha sempre vissuto per la sua arte nonostante questa gli procurasse solo povertà e privazioni.



sabato 1 gennaio 2011
domenica 11 luglio 2010
Udzungwa Scarp
La Riserva Forestale di Udzungwa Scarp è una delle maggiori aree forestali che coprono la catena dei Monti Udzungwa, situati nella Tanzania centro-meridionale. Essa copre una superficie di circa 220 km2 sul versante sud-orientale della catena montuosa. Insieme al Parco Nazionale dei Monti Udzungwa, che rappresenta la sua continuazione settentrionale, costituisce un’area protetta di eccezionale valore ecologico, biologico ed ambientale. I Monti Udzungwa infatti rappresentano una porzione dell’Arco Orientale, una serie di rilievi montuosi che anticamente costituivano un’unica catena che attraversava da sud a nord tutta la Tanzania per terminare in Kenya.
L’erosione che ha avuto naturalmente luogo nel corso di milioni di anni ha provocato una parcellizzazione dell’antica catena in tante “isole” di rilievi coperti di foresta ed ecologicamente separate le une dalle altre da profondi avvallamenti caratterizzati da clima ed altitudine profondamente diversi. In questo modo l’evoluzione delle specie di animali e piante è proseguita in ognuno di questi segmenti montuosi in modo autonomo, dando origine ad una estrema biodiversità concentrata in superfici relativamente piccole. E’ grazie al grande numero di nuove specie scoperte e ancora da scoprire che i Monti Udzungwa si sono meritati l’appellativo di “Galapagos d’Africa”.
Un aspetto importante dell’Udzungwa Scarp è che la sua foresta primaria si estende lungo le pendici delle montagne partendo da un’altitudine di circa 400 metri s.l.m., con un caratteristico paesaggio di savana, fino ad un’altitudine di 1900 metri s.l.m., con un clima completamente diverso caratterizzato da abbondanti piogge e freddo intenso. All’interno di questa ampia varietà di ecosistemi si sono evolute e differenziate centinaia di specie di animali e piante, oltre a tutte le specie che hanno colonizzato successivamente questi luoghi e che si possono trovare anche in altre aree.
Tra le specie animali che si possono trovare solo nell’Udzungwa Scarp, ed in particolare in una piccola zona della riserva, la storia più curiosa riguarda la “Rana mammifera” (Nectophrynoides asperginis), così chiamata perché è ovovivipara e cioè non depone uova ma dà alla luce girini vivi. Il suo habitat sono le cascate di Kihanzi, e perché il suo ciclo biologico si completi sono necessarie proprio la corrente e gli spruzzi delle cascate. Kihanzi è sito scelto nel 2000 per la realizzazione di un gigantesco impianto idroelettrico, costruito grazie ad un progetto della Banca Mondiale da 270 milioni di dollari . L’opera di presa dell’acqua avrebbe modificato il naturale corso delle cascate minacciando così la sopravvivenza della rana mammifera. Grazie al grande lavoro delle associazioni di ambientalisti e agli studi dei biologi è stato possibile modificare il progetto originario in modo da conservare una nicchia ecologica per le rane.
Udzungwa Scarp è straordinariamente ricca di anfibi e rettili unici di queste zone, mentre i mammiferi più diffusi sono cinque specie di primati (colobo rosso, colobo bianco e nero, la scimmia di Syke’s, galagoni, cercocebo di Sanje), iraci, leopardi (nella parte più bassa della foresta), piccole antilopi e numerose specie di piccoli mammiferi che abitano il sottobosco. Tra questi il più simpatico è sicuramente il rincocione, un toporagno-elefante caratteristico dell’Africa orientale. Una nuova specie di rincocione è stata scoperta recentemente dai ricercatori del Museo Tridentino proprio sui Monti Udzungwa.
http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/esteri/topo-tanzania/1.html
La foresta dell’Udzungwa Scarp è seriamente minacciata dall’attività umana e dall’espansione degli insediamenti che si trovano lungo i confini della riserva. Purtroppo lo status di Riserva Forestale non garantisce le stesse misure di protezione che difendono i Parchi Nazionali, per cui attività illegali di bracconaggio ed il taglio indiscriminato degli alberi della foresta fanno sorgere interrogativi e preoccupazioni in merito alla sopravvivenza di questo straordinario quanto fragile ecosistema.
Un modo per aumentare l’interesse nei confronti di questa Riserva potrebbe essere quello di pubblicizzarne lo sfruttamento nel contesto di progetti di Ecoturismo. Il Museo Tridentino di Scienze Naturali ha provato ad esplorare questa possibilità, purtroppo con modesti risultati. Infatti il trekking in foresta non garantisce la stessa spettacolarità di un safari (gli alberi fitti ostacolano la visione della fauna) ed è tutt’altro che ricco di comfort. In più, come se non bastasse, il governo tanzaniano, forse per evitare le invasioni (per altro improbabili) di turisti nelle aree protette, ha burocratizzato pesantemente l’accesso alle Riserve Forestali imponendo il pagamento di una quota giornaliera superiore a quella del parco nazionale da effettuare esclusivamente negli uffici di Morogoro, a centinaia di km cioè dall’ingresso in foresta.
Gli abitanti di Masisiwe millantano di riuscire a raggiungere Chita in 8 ore, ma se dovessi prevedere un trekking considererei tre giorni di cammino per completare il percorso.
Kihanga è il campo base a cui si sono appoggiate tutte le spedizioni esplorative dell’Udzungwa Scarp, dove cioè i ricercatori e i naturalisti hanno montato i campi in grado di ospitare loro e le attrezzature necessarie allo studio della foresta e dei suoi abitanti.
Kihanga non è altro che una minuscola radura in mezzo alla foresta pluviale, la cui caratteristica principale è quella di trovarsi in prossimità di una sorgente di acqua purissima e trasparente assolutamente potabile, che forma fra l’altro un laghetto ideale per lavarsi.
Come detto gli unici componenti della spedizione eravamo mia moglie ed io, guidati da un anziano abitante del villaggio di Masisiwe, Stephan Kayage, che la comunità locale ha scelto per guidare le spedizioni dei visitatori che desiderano inoltrarsi nella foresta.
Stephan non aveva scarpe ed il solo bagaglio era una tanica di pombe (alcolico ottenuto dalla fermentazione del mais), due canne da zucchero ed un machete. Tutto il suo sostentamento di due giorni di marcia era contenuto in questi oggetti.
Noi eravamo stracarichi, con abbigliamento tecnico, tenda, cibo e acqua in quantità. A noi le nostre provviste sono risultate decisamente scarse.
Non ci sono sfuggiti però i rumori della notte, le voci dei milioni di esseri viventi che popolano la foresta. Di giorno quest’ambiente sembra disabitato, ma di notte la vita esplode letteralmente. Siamo riusciti a registrare il verso dell’irace arboricolo, il cui gracchiare sovrasta tutte la altre voci notturne.
Ci piacerebbe un giorno, forti dell’esperienza accumulata, completare il tragitto fino alla pianura del Kilombero, fino a Chita. In quell’occasione però ci faremo accompagnare da dei portatori, gente allenata ed esperta che non conosce la fatica.
M.L.
domenica 16 maggio 2010
Un Diritto Negato
mercoledì 24 febbraio 2010
Incidenti di Percorso (1)
Nel mondo cosiddetto "sviluppato" la strada è quella linea che unisce due luoghi. Non ha alcun significato intrinseco se non quello di condurre da qualche parte. Nella maggioranza dei casi è una perdita di tempo necessaria per raggiungere il luogo di lavoro o una sospirata meta vacanziera. In Africa non è quasi mai così. Ogni chilometro ha un proprio senso preciso in quanto può nascondere un insegnamento da ricordare o un ostacolo da superare. L'impossibilità di procedere è generalmente il motore di esperienze che si vivono lungo la strada, impone la sosta e prepara il terreno all'imponderabile, al caso ed al destino.
Un episodio emblematico avvenne la prima (sottolineo "la prima") volta che mi recai al villaggio sede del progetto. All'epoca frequentavo il corso di kiswahili che si svolgeva dal lunedì al venerdì ad Iringa. Invece di crogiolarmi per tutto il weekend nella vita cittadina preferii recarmi nel luogo in cui avrei vissuto per due anni, impaziente di gettarmi nella mischia. Decisi (non che avessi altra scelta) di arrivarci con l'autobus scalcinato che ogni giorno percorre la tratta Iringa-Bomalang'ombe. Era l'inizio della stagione delle piogge, ma all'epoca ancora non sapevo cosa ciò potesse comportare. Il viaggio fu molto interessante, dato che ebbi modo di studiare tutto il percorso e i caratteristici villaggi che si succedevano. Pranzai con un'ottima pannocchia abbrustolita acchiappata al volo durante una delle numerose e lunghe soste, studiate senz'altro più a favorire il commercio degli abitanti dei villaggi che a consentire la discesa e la salita dei passeggeri, operazione che si svolgeva nell'arco di un paio di minuti. La cosa curiosa era che ogni villaggio era specializzato in una particolare merce: c'era il villaggio della frutta, quello dei pomodori, quello delle pannocchie, ecc. Come se fosse stato stabilito un tacito accordo di non belligeranza commerciale tra i diversi villaggi. Nel corso degli anni avrei poi imparato ad apprezzare il progressivo variare delle merci vendute in virtù del succedersi delle stagioni che influivano sulle produzioni agricole disponibili.
Dopo circa quattro ore dalla partenza, arrivati a Kidabaga, l'autobus si fermò. Kidabaga era (ed è tuttora) un grosso villaggio che si trovava a trenta chilometri dalla mia meta e che segnava il confine tra la pista in buone condizioni e quella meno battuta.
All'inizio valutai che si trattasse di una delle classiche e interminabili soste che avevano costellato il percorso, ma quando rimasi l'unico passeggero capii che qualcosa non andava. Con un kiswahili stentato (avevo alle spalle solo una settimana di lezione) capii, o meglio intuii, che la strada da Kidabaga a Bomalang'ombe era troppo brutta, che l'autobus non poteva farcela e si sarebbe di certo impantanato. A Kidabaga non esistevano luoghi che ritenessi adatti a dormire (ma questa valutazione era destinata a cambiare radicalmente con il passare del tempo) per cui cominciai a preoccuparmi. Trenta chilometri a piedi sono tanti, soprattutto di notte e senza conoscere la strada. Questo problema non affliggeva soltanto me, ma anche tutti i passeggeri che erano diretti nei villaggi oltre Kidabaga. A domanda, come sempre, corrispose un'offerta. Un abitante di Kidabaga improvvisò un mezzo di trasporto su cui ci propose di salire dietro, ovviamente, un ragionevole compenso. Si trattava di un trattore a cui venne agganciato un misero carro realizzato con un puzzle di pezzi di ricambio malamente assemblati. Sul fondo del carro vennero sistemati tutti i bagagli e sopra questi ci disponemmo noi passeggeri insieme ad alcune galline in gabbia. Tutta questa impalcatura cigolava e scricchiolava ad ogni metro, ed era immediatamente evidente che il carro si sarebbe schiantato di lì a poco. Prima del definitivo cedimento strutturale, che avvenne a circa dieci chilometri dall'arrivo, si ruppero per l'eccessivo peso tutte le ruote ad una ad una. Le camere d'aria vennero tutte aggiustate artigianalmente per poi proseguire ogni volta. Ad ogni pit stop la gente scendeva con calma e rassegnazione, e aspettava con pazienza il momento in cui si sarebbe ri-arrampicata sul cumulo di sacchi e bagagli per riprendere la marcia. Ad una decina di chilometri dall'arrivo, come detto, il carro collassò ed il semiasse cedette. Erano le undici di sera, era buio da diverse ore, e la gente ancora una volta scese per assistere alle operazioni di riparazione. Questa volta era evidente che senza l'aiuto di un meccanico vero non sarebbe stato possibile sistemare il carro, ma la maggior parte dei passeggeri volle negare l'evidenza ed attendere che si verificasse il miracolo ad opera dei nostri sprovveduti traghettatori. Io ero maledettamente stufo, e spiegai che avrei proseguito a piedi. Venni seguito soltanto da due donne che dividevano il peso di due bagagli ed un lattante. Io probabilmente fornivo loro un barlume di sicurezza, loro indicavano la strada. In due ore arrivammo al villaggio, ed all'una di notte, esattamente tredici ore dopo essere partito da Iringa, svenni esausto nel letto.
M.L.
lunedì 30 novembre 2009
Il progetto Kilolo
Il settore scelto per segnare questo passaggio è l'agricoltura, dal momento che consente di raggiungere un ampio numero di beneficiari e perchè incide direttamente sul reddito del 90% delle famiglie tanzaniane.
Questo progetto è realizzato dal CEFA Onlus con il sostegno tecnico ed economico del Consorzio delle Buone Idee di Bologna.
sabato 29 agosto 2009
Chamaleon Safari
Questo finché non capitò nel villaggio un erpetologo di Harvard, il quale ci chiese ospitalità per il tempo necessario a svolgere le sue ricerche.
Costui si chiamava Luke Mahler (http://www.oeb.harvard.edu/faculty/losos/mahler/) ed il suo arrivo fu accompagnato da un profondo sentimento di curiosità: cosa poteva cercare un naturalista americano in un luogo come questo? Fu lui a darci la risposta: camaleonti.
Luke era pratico di quel tipo di ricerche e andò immediatamente a presentarsi al capo villaggio per spiegare il motivo della sua presenza e per chiedere il permesso di aggirarsi di notte a raccogliere camaleonti. I permessi furono concessi, e non appena si sparse la notizia che un mzungu (bianco) cercava vinyonga (camaleonti), iniziò un'ininterrotta processione a casa nostra da parte di persone intenzionate a vendere i camaleonti che avevano catturato per l'occasione. Fra queste persone c'erano anche alcuni nostri dipendenti.
Noi rimanemmo sbalorditi per due motivi: il primo era che il giorno prima non sapevamo neanche che questi animali fossero presenti in così gran numero nei dintorni di casa, il secondo era che il camaleonte è un animale porta-sfortuna per la cultura locale, e la gente ne è del tutto terrorizzata. Ma pochi spiccioli si erano dimostrati più potenti delle ataviche credenze…
Il miglior modo per scovare i camaleonti, virtualmente invisibili di giorno, era quello di cercarli di notte alla luce delle torce elettriche. Magicamente la boscaglia si popolava di sagome bianche appese ai fusti delle piante ed ai rami degli alberi. Si potevano riconoscere forme adulte e forme giovanili, maschi e femmine.
Il "Safari dei Camaleonti" divenne la principale attrazione turistica da sottoporre ai visitatori del nostro progetto, e nel corso delle numerose uscite notturne avevamo imparato che il loro numero variava in funzione della stagione e che le tre specie vivevano in habitat completamente diversi: il Goetz si poteva trovare aggrappato verticalmente alle canne ed alle piante erbacee che crescevano nell'acqua di stagni e paludi, il Tempel amava dormire sulla punta dei rami dei pini, mentre il "cornuto" Werner si nascondeva nel folto degli alberi ed era quello più difficile da trovare.
M.L.