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sabato 6 aprile 2019

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Albero


Il 4 aprile 2019 è stata proclamata al Parlamento francese la Dichiarazione dei diritti dell’albero. Un documento storico presentato dagli attivisti dell’Associazione ambientalista A.R.B.R.E.S., che si augurano diventi universale e apra la strada a una nuova legislazione in grado di riconoscere l’albero come essere vivente a sé stante.
Questo il testo tradotto in italiano:


Articolo 1
L'albero è un essere vivente fisso che, in proporzioni comparabili, occupa due ambienti distinti, l'atmosfera e il suolo. Nel terreno si sviluppano le radici, che catturano acqua e minerali. Nell'atmosfera cresce la chioma, che cattura l'anidride carbonica e l'energia solare. A causa di questa condizione, l'albero gioca un ruolo fondamentale nell'equilibrio ecologico del pianeta.

Articolo 2
L'albero, essendo sensibile ai cambiamenti del suo ambiente, deve essere rispettato in quanto tale, non può essere ridotto a un semplice oggetto. Ha diritto allo spazio aereo e allo spazio sotterraneo di cui ha bisogno per raggiungere la sua piena crescita e raggiungere la sua dimensione adulta. In queste condizioni l'albero ha diritto al rispetto della sua integrità fisica, aerea (rami, tronco, fogliame) e sotterraneo (rete di radici). L'alterazione di questi organi lo indebolisce seriamente, così come l'uso di pesticidi e altre sostanze tossiche.

Articolo 3
L'albero è un organismo vivente la cui longevità media supera di gran lunga quella dell'essere umano. Deve essere rispettato per tutta la vita, con il diritto di svilupparsi e riprodursi liberamente, dalla nascita alla morte naturale, sia che sia un albero delle città o della campagna. L'albero deve essere considerato come soggetto di legge, comprese le regole che regolano la proprietà umana.

Articolo 4
Alcuni alberi, considerati degni di nota dagli uomini per la loro età, aspetto o storia, meritano ulteriore attenzione. Diventando un patrimonio bio-culturale comune, hanno accesso a uno status più elevato che impegna gli esseri umani a proteggerli come "monumenti naturali". Possono essere registrati in una zona di conservazione del patrimonio paesaggistico, beneficiando così di una maggiore protezione e miglioramento per ragioni estetiche, storiche o culturali.

Articolo 5
Per soddisfare i bisogni degli uomini, alcuni alberi vengono piantati e quindi sfruttati, per sfuggire necessariamente ai criteri sopra menzionati. Il modo in cui vengono raccolte le foreste o gli alberi rurali, tuttavia, deve tenere conto del ciclo di vita degli alberi, delle capacità di rinnovamento naturale, degli equilibri ecologici e della biodiversità.


Lo scopo di questo testo è quello di cambiare il modo in cui
le persone guardano e si comportano, per renderle consapevoli del ruolo
cruciale degli alberi nella vita di tutti i giorni e per il futuro, aprendo la
strada a un rapido cambiamento legislativo a livello nazionale.

venerdì 26 gennaio 2018

L'Eremo nel Deserto (Ho pregato con un'aquila)

“Vieni nel deserto, Io parlerò al tuo cuore” (Osea [2,16])

“Dio creò il deserto perché gli uomini potessero conoscere la loro anima (proverbio Tuareg)


L’avevo promesso a me stesso: la prossima volta che fossi venuto a Wajir mi sarei concesso un periodo di deserto all’interno dell’eremo che Annalena (lei lo chiamava “eremitaggio”) aveva costruito. Eccomi qua, sulla cima della torre. Il clima è fantastico, imprevedibilmente arieggiato e piacevole, lontano dal riverbero della sabbia incandescente. C’è silenzio, sento solamente i suoni della natura fino a quando i muezzin decidono che è giunta l’ora di richiamare i fedeli alla preghiera. All’esterno delle mura dell’enorme terreno assegnato al Rehab è sorta una città. All’interno c’è


qualche piccolo edificio ma il paesaggio è lo stesso bush selvaggio che vedeva Annalena 43 anni fa, quando costruì l’eremitaggio. Sono sbalordito dalla quantità di uccelli che mi circondano: storni blu, buceri, turachi, colombi, tessitori, ibis, marabù. L’incontro più incredibile è però un nibbio dal becco giallo che mi rimane accanto, appollaiato sulla cima dell’acacia del cortile dell’eremitaggio, per quasi un’ora. Rimane immobile ma attentaofino al momento in cui decolla planando sotto di me. Mi sento un privilegiato e sento il cuore galleggiare. Ho portato con me la raccolta delle lettere di Annalena (Lettere dal Kenya – 1969-1985). Rileggo le parti che riguardano l’eremitaggio, ed ora assumono un significato ed un valore che mi sovrasta e mi commuove…


13 aprile 1970
In Africa o si è contemplativi o si fallisce tutto e chi ci rimette sono sempre loro: i poveri. Qui non c’è nessuno o quasi nessuno in grado o disposto a darti quell’ossigeno spirituale senza il quale
l’anima è in continuo pericolo di asfissia. Per questo costruiremo presto il nostro eremitaggio per la nostra giornata di “deserto” settimanale, per quello più lungo annuale e per offrire silenzio, solitudine, pace a tutti quelli che vorranno venirci, i bianchi naturalmente, perché sono loro ad averne bisogno.

8 febbraio 1975
Naturalmente nell’eremitaggio non metteremo mai né luce né acqua. L’acqua l’attingeremo a mano dal pozzo e la luce dal fondo dell’anima… poi ho comprato del ferro di scarto, meglio del ferro vecchio per farne una specie di pioli incassati in un angolo del muro della cappella per salire fino alla cima della torre. Forse non vi ho ancora spiegato che la cappella dell’eremitaggio l’ho ideata come una torre tutta vuota dentro fino al tetto. Alla sommità intendo lasciare solo quattro colonnine agli angoli e il resto tutto aperto per permettere di spaziare liberamente sull’orizzonte, per cui ho ideato una specie di scaletta incassata nel muro per salire fino in cima alla torre.

10 febbraio 1975
Il pozzo tende verso il centro, gli alberelli vagheggianti, è un sogno un balsamo per il cuore andare
laggiù anche quando il sole è implacabile. Prendimi alla lettera… uno starebbe sempre là. Già il cuore sperimenta una pace, una dolcezza, una serenità insondabili. E’ una condizione di riposo dell’anima, un allentamento dolce, senza scosse, di tensioni radicate nel profondo, uno stato di fiducia senza tremiti, senza bui, senza debolezze, proprio come un bimbo sul seno della sua mamma.

14 ottobre 1975
La gioia di poter dare a un altro, a un pellegrino dell’Assoluto come noi, a tanti e poi tanti che verranno alla ricerca di silenzio, assetati di Dio… la gioia di poter dare, dicevo, di poter offrire il nostro eremitaggio unico al mondo, è talmente “divina” che sarei pronta a costruirne un altro per noi pur di poter costantemente offrire il nostro a chiunque volesse venirci a fare un’esperienza di “deserto”.

5 novembre 1982
Stesa sulla stuoia in cappella nel vuoto alto e austero della torre, contemplavo le meraviglie di Dio… non è possibile che esista un altro luogo al mondo come il nostro eremitaggio. Come ho potuto pensarlo così profondamente mistico, sobrio, austero, gli alberi di spine verdissimi pieni di uccelli da favola, il pozzo della samaritana, l’acqua della vita, il cielo da ogni lato, il muro altissimo che esclude e spalanca su orizzonti infiniti…


23 dicembre 1983
Mi sono persa nell’ascolto del vento, dei canti degli uccelli, delle imposte che sbattono leggermente… mi sono persa nell’incanto delle rose del deserto che mi sorridono brillanti qui appena fuori dalla porta, dalle finestrelle ricamate, di queste mura rosa che sanno di pace e di antico. Tutto amo qui: gli alberi di spine, il pozzo rotondo col ferro ritorto e la carrucola e le parole scritte tanti anni fa e ormai sbiadite: “la mia anima ha sete di Dio, del Dio vivente, quando verrò e vedrò il volto di Dio?”. La torre cava e quei pioli conficcati nel muro con quella salita un po' ardua a significare che non si entra se non per la porta stretta, non si cammina verso Dio, ma ci si inerpica e il respiro deve farsi faticoso e il cuore deve tremare perché Lui è santo e poi perché l’attesa di ogni incontro d’amore fa tremare il cuore.

venerdì 29 gennaio 2016

Mikumi National Park (eng)

Mikumi National Park is the most comfortable and cheap opportunity for gaming in Tanzania. It is located just four hours driving from Dar es Salaam and is therefore accessible daily from the capital. This park can be safely visited with private vehicles since it’s crossed by roads in excellent condition and covered by a complete and accurate signage network. It is sufficient to purchase a map at park office to make sure to easily roam once inside the main gate.
The main feature of Mikumi is to be crossed, in its northern part, by a long segment (about fifty kilometers) of one of the main roads of Tanzania, leading from Dar es Salaam to southern Tanzania and then in Zambia.
Every time it happens to pass along this road there is the guarantee to see just on the edge of the tarmac the typucal savanna games: elephants, giraffes, zebras, impala, buffalo and baboons. In some cases the lucky ones could even admire lions asleep on the way.
The intersection of the road also leads to

mercoledì 22 luglio 2015

Udzungwa National Park - Mwanihana Trail

Memore dell’esperienza acquisita nell’Udzungwa Scarp quest’anno ho organizzato una “spedizione” alla scoperta dell’omonimo Parco Nazionale. Ho programmato tre giorni di cammino partendo dal villaggio di Mang’ula (300 metri s.l.m. circa) con l’obbiettivo di raggiungere il secondo picco più alto
della catena, il Mwanihana Peak a 2500 metri s.l.m. Questa volta ho assoldato due portatori, un cuoco, una guida ed un ranger armato, quest’ultimo con l’incarico di difendere il gruppo da potenziali incontri pericolosi con predatori, bufali o elefanti. Non è un viaggio economico, specie se affrontato da solo. Queste condizioni mi hanno permesso però di percorrere l’intero tragitto senza uno zaino troppo pesante, di fruire delle spiegazioni di una guida esperta e di penetrare in tutta sicurezza all’interno delle aree più frequentate dalla fauna selvatica.
Il programma era semplice: il primo giorno sarebbe stato dedicato a raggiungere il campo base, a montare le tende e la cucina da campo. Il

giovedì 28 agosto 2014

Peyrieras reserve - Madagascar Exotic (ENG)

The visit of the reserve of Peyrieras or Madagascar Exotic of Marozevo is highly recommend when you go  to the east coast of Madagascar. It is located 72 km from the capital inside the green forest of  Mandraka. The naturalist who created this reserve is André Peyrieras, a researcher who is passionate of Malagasy biodiversity and does not count the time to study
it. It is a breeding center hosting some species of reptiles, amphibians, mammals and some insects. The resident mammal of this farm is the Tenrec eucaudatus, an insectivorous well known throughout Madagascar. Up the hill, a small strip of natural forest in the south part of the reserve  gives shelter to sifaka and grey lemurs who have been relocated there due to the degradation of their natural habitat. A cage breeding butterflies like the famous butterfly comet Argema mittrei also distinguish this farm. Butterflies are designated for export. It's fun to touch and take on hands the famous flat geckos like Uroplatus distinguished by

La Réserve Peyrieras - Madagascar Exotic (FR)

La réserve de Peyrieras ou Madagascar exotic  de Marozevo constitue  un étape prépondérante et très recommander quand on descend vers la cote Est de Madagascar. Elle se situe à 72km de la Capitale en passant par la forêt verdoyante de Mandraka. Elle porte le nom du naturaliste qui l’a crée : André Peryieras. Un chercheur qui est passionné à la biodiversité malgache et ne compte pas son temps pour l’étudier.
Cette centre d’élevage abrite un nombre considérable d’espèces de reptile, les amphibiens, mammifère et quelques insectes… Le mammifère pensionnaire de cette ferme est le Tenrec eucaudatus, un animal insectivore très connue partout à  Madagascar. Un peu plus haut dans la colline, une petit lambeau de foret naturel qui se situe dans la partie sud de la ferme accueilli des sifaka et des lémures griseuses qui sont relocalisé là dues à la dégradation de leur habitat naturel.  Un cage de reproduction des papillons comme la fameuse papillon à comète Argema mittrei aussi est distingué dans cette ferme. Les papillons sont destinés à l’exportation. C’est amusant de prendre dans les mains le fameux

giovedì 21 agosto 2014

La Forêt de Andasibe (FR)

Le parc national d'Andasibe-Mantadia est une réserve forestière située dans la partie orientale de Madagascar. Il se situe sur la route entre Antananarivo (la capitale) vers la ville côtière de Tamatave.  Elle représente une halte idéale pour ceux qui font le long voyage vers l'Ile Saint Marie ou Canal des Pangalanes. La visite de ce parc naturel est une expérience unique, qui permet d'observer l'écosystème typique de Madagascar et ses habitants les plus spécifiques. Du point de vue touristique, la partie la plus intéressante est la Reserve speciale de Indri indri d’Analamazaotra où vous pouvez observer dans son habitat naturel le fameux Indri indri  et qui constitue l’attraction principale du parc. Ce sont les plus grands lémuriens en vie et ils mesurent

Andasibe Forest (EN)

Andasibe-Mantadia  national park is located in the eastern part of Madagascar. It is positioned on the road between Antananarivo (the capital) to the coastal town of Tamatave. It is an ideal stop for those who make the long trip to Sainte Marie and  Canal of Panganales.
Visiting this park is a unique experience: it allows to observe the typical ecosystem of Madagascar and its most unique inhabitants. From a tourist point of view, the most interesting part is the Indri Indri Special reserve of  Analamazaotra where you can observe in their natural habitat Indri indri : the main attraction of the park. They are the largest living lemurs and they measure about one meter in height. Their most distinctive feature is their curious and amazing calls you can hear and recognize up to three kilometers away. The Malagasy

giovedì 14 agosto 2014

Ile Sainte Marie (FR)

Ile Sainte Marie est longue et étroite île (40 km sur 5km) située à une courte distance de la côte est malgache. C'est le paradis tropical typique dans l'Océan Indien, avec des plages de corail et eaux cristallines. C'est une île bien connue, par rapport à d’autre endroit s envahi par des stations touristiques comme Nosy Be. C'est la raison pour laquelle l'Ile Sainte Marie est un lieu exceptionnel où il est encore possible d'établir une relation authentique avec la

giovedì 28 febbraio 2013

Gli Angeli di Leakey

Poche persone hanno avuto un impatto sullo studio delle origini dell’uomo maggiore di Louis Leakey. Nato da genitori missionari in Kenya nel 1903, si laureò a Cambridge nel 1925 in archeologia e antropologia per poi tornare in Africa orientale a condurre diversi progetti di ricerca. Nonostante fosse un fervente cristiano, sostenne fin dagli inizi la teoria evoluzionistica darwiniana, maturando la convinzione che i primi uomini avessero mosso i loro passi in Africa. Nel 1936 sposò Mary Douglas Nicol, una illustratrice scientifica, che divenne sua inseparabile compagna di lavoro e fatiche nei diversi siti di scavo. La scoperta che consegnò alla storia il nome dei Leakey risale al 1950, quando nella gola di Olduvai nell’attuale Tanzania la coppia rinvenne un cranio fossilizzato di Zinjanthropus, un ominide che visse 1,75 milioni di anni fa. Nel corso della sua attività Louis Leakey inaugurò numerosi filoni scientifici.
Uno dei più importanti fu lo studio dei grandi primati, per svolgere il quale Leakey scelse tre donne, a suo modo di vedere più sensibili e recettive degli uomini nell’instaurare un legame empatico con i primati.  La loro giovane età le rendeva inoltre adatte

sabato 9 febbraio 2013

La Scalata del Kilimangiaro

GIORNO 1: La via parte dal cancello di Marangu (1860 m slm) dove vengono espletate le formalità per l’accesso al Parco Nazionale del Kilimangiaro e vengono distribuiti i carichi tra i portatori. La camminata del primo giorno si svolge all’interno di una fitta foresta pluviale piena di vita e contraddistinta da un elevato tasso di umidità. Si tratta di un ambiente incantevole e rigoglioso, attraversato da torrenti che gorgogliano e bordato di alberi giganteschi ricurvi e coperti da muschio pendente. Alberi altissimi si alternano a piante più basse e ad arbusti e cespugli in un intreccio di liane e rampicanti. Tra le specie più comuni si trovano il Podocarpus milanjanus, la Nuxia congesta, l’Agauria salicifolia, il Rubus volkensi. Lungo la strada è possibile avvistare primati e roditori che scompaiono tra gli alberi al passaggio dei turisti. La tappa si conclude al rifugio Mandara (2720 m slm), dopo un cammino di circa 3-4 ore. Accanto al vecchio rifugio in muratura sono state costruite diverse capanne in legno, sopraelevate rispetto al terreno. Ogni edificio è composto di due camerette con quattro cuccette ciascuna. Nella costruzione centrale si trovano la sala da pranzo ed un altro dormitorio. All’arrivo è possibile esercitarsi in una passeggiata di circa 15 minuti verso il cratere Maundi. Queste passeggiate sono sempre utili perché consentono di acclimatarsi meglio.
GIORNO 2: La prima parte di questa tappa coincide con l’ultima parte della foresta pluviale, rigogliosa di alberi densamente ricoperti di piante epifite e di un ricco sottobosco di felci. Dopo poche decine di metri si emerge dalla foresta tropicale

sabato 29 dicembre 2012

Andasibe-Mantadia


Il Parco Andasibe-Mantadia è una riserva forestale situata nella parte orientale del Madagascar. Si situa idealmente sulla direttrice che conduce da Antananarivo (la capitale) verso la città costiera di Tamatave, rappresentando la tappa ideale quindi lungo il viaggio che porta verso Ile Saint Marie o il Canale di Pangalanes. Visitando questo parco si compie un’esperienza naturalistica unica, potendo osservare l’ecosistema tipico del Madagascar e alcuni dei suoi abitanti più caratteristici.
La parte principale del parco da un punto di vista strettamente turistico è la Riserva Speciale Indri-Indri o Anamalazoatra dove si possono osservare i celebri Indri-Indri, ai quali spetta la palma di principali attrazioni del parco. Gli Indri-Indri sono i più grandi lemuri viventi arrivando a misurare quasi un metro di altezza. La loro caratteristica più curiosa sono gli incredibili vocalizzi che emettono di continuo e che è possibile riconoscere fino a tre km di distanza. Il nome malgascio di questi animali è babakoto (leggendo la lettera “o” come se fosse “u”) che letteralmente significa “padre del ragazzo”, a causa della leggenda che vorrebbe gli Indri

mercoledì 10 ottobre 2012

La Carica dell'Elefante

Giugno 2000, un turista inglese in vacanza in Kenya, presso il famoso parco Masai Mara, commette l’azzardo di allontanarsi all’alba dal campo tendato presso cui era alloggiato. Nel tentativo di scattare una fotografia ad un gruppo di elefanti viene assalito e travolto dalla matriarca. Gennaio 2001, al Ruaha National Park una “Peace Corp” americana viene travolta dalla carica di un elefante dopo che si era allontanata dal veicolo su cui si trovava per scattare alcune fotografie. Luglio 2007, Patrick Smith e la moglie Julie vengono attaccati da un enorme elefante maschio all’interno del Masai Mara in Kenya. Julie si salva, ma per Patrick non c’è scampo.  Ottobre 2009, Anton Turner viene ucciso nel corso di un attacco di un elefante in Tanzania mentre accompagnava una troupe inglese della BBC che aveva lo scopo di girare un documentario sulla vita di David Livingstone. Giugno 2010, Sharon Brown e la piccola Margaux vengono uccise dalla carica di un elefante solitario nei pressi del monte Kenya.  Luglio 2010, una donna romana di 63 viene attaccata ed uccisa da un branco di elefanti anni mentre prendeva parte insieme al marito ad un safari a piedi nel nord della Tanzania. 
Questi sono alcuni (ma la lista sarebbe ben più nutrita) degli eventi tragici che riguardano attacchi mortali sferrati da elefanti nei confronti di turisti. Non c’è una statistica sugli attacchi nei confronti delle popolazioni locali, ma l’elenco è sicuramente più lungo.

mercoledì 22 agosto 2012

Il Diario dei Turisti Responsabili

Di seguito alcune parti del diario scritto dal gruppo di Trento nel corso del viaggio in Tanzania di Luglio.

Partiamo da Iringa alle ore 7.30, dopo aver acquistato farina e zucchero per la Primary School. Affrontiamo una strada sterrata con buche. Molte sono le persone che camminano lungo la strada; indossano vestiti multicolori e si recano alla messa. Le moto, le bici e le teste delle donne sono anche mezzi per il trasporto di merci (legna, sacchi di farina e taniche di acqua). Ad un certo punto l’ambiente diventa verde sia per le coltivazioni come granoturco, piselli, patate, sia per la vegetazione che cresce nei boschi (eucalipti, pini con aghi lunghi e sottili). Arriviamo a Bomalang’ombe alle 10.30 per assistere alla Messa: molto commovente la partecipazione della popolazione al rito, con balli e canti, il parroco che sta in mezzo alla chiesa durante la predica e ci invita a presentarci alla comunità.

martedì 24 aprile 2012

A Pelo d'Africa

“A Pelo d’Africa” è un libro eccezionale. Pubblicato nel 1978, racconta il viaggio intrapreso dal giornalista Giorgio Torelli e dal comandante Pino Bellini alla volta del Congo per consegnare un piccolo aeroplano Piper ai missionari di Uvira, nel Kivu. Dopo ventitré giorni e diciassette atterraggi i due avventurieri arrivarono nell’odierna Bujumbura, in Burundi, da dove poi il Piper fu trasportato fino in Congo. I fatti risalgono all’anno 1962 e al tempo ebbero una notevole risonanza mediatica. La scintilla che mosse Torelli a progettare il viaggio fu la notizia che i missionari in Congo sarebbero rimasti al loro posto nonostante l’eccidio di Kindu, in cui tredici aviatori italiani furono trucidati dai guerriglieri.
Torelli decise di rispondere all’appello dei missionari e si adoperò per trovare un aeroplano che li potesse aiutare nella loro opera di evangelizzazione e di assistenza alla popolazione locale. Il piccolo Piper Eden sembrava troppo piccolo per affrontare un viaggio così lungo e difficile, ma il giornalista persistette e trovò nel comandante forlivese Bellini un coraggioso compagno di viaggio e sostenitore. Il 25 ottobre 1962 i due viaggiatori partirono dall’aeroporto di Forlì con due piccole valigie, uno scatolone contenente un presepe per i missionari, alcuni razzi di segnalazione ed un revolver.
Riporto due tra i brani che più mi hanno entusiasmato. Il primo riguarda il momento più critico di tutta la trasvolata, quando l’aeroplanino ha dovuto attraversare una tempesta di sabbia sul deserto libico, mentre i militari di una base militare americana negavano loro l’atterraggio di emergenza.
Bellini richiama, richiama e richiama ancora. Solo il vento con noi e noi con lui. Adesso non si vede neanche più Tripoli, procediamo a orizzonte artificiale dentro un tunnel di grigio imperlato. Roger, gracchia al quarto appello di Bellini la radio americana che a questo punto – appare chiaro ai condannati – risponde per obbligo internazionale di rapporto fra terra e cielo, ma se ne stropiccia, non gli piacciamo, ci siamo di troppo sul suo spazio, fuori dai piedi e dai pollici, se ci sfracelliamo è perché non dovevamo involarci.
Col fiato grosso come ho, sento che l’assoluto buio sui minuti avvenire ci separa da non so cosa, improbabilmente dalla salvezza, quasi certamente dall’addio; ho già indossato il tumulto dei sentimenti e anche quel lindore che forniscono i frammenti decisivi del tempo. Perciò avverto intera e mirabile la grandezza romagnola di Bellini che, strabattendosi della potenza americana, branca il microfono, picchia il pugno destro sull’apparato-radio e mentre governa con la salda sinistra quel che resta di noi – una scatola scossa – urla alla base atomica con quanto fiato gli resta: “Roger, ‘sti dù maròn!”.
Il secondo estratto racconta il sorvolo delle savane popolate dalla celebre fauna africana. I due si trovano, proprio nel momento di massima contemplazione di quel meraviglioso paesaggio, a fronteggiare un attacco di dissenteria del pilota che la mattina, per aspirare dell’olio versato in eccesso da un addetto dell’aeroporto di Juba nel motore del piper, era incorso in una involontaria quanto abbondante bevuta.
Mi par di leggere sul nero degli strumenti che stiamo a ottocento metri di quota, a moti e sbalzi da aquilone. E’ un’altezza irrilevante, si vede e si gusta tutto. Sotto di noi, come uno sterminato ventaglio, si sono schiuse le prospettive d’erba. Branchi puntiformi di animali, che sono certo gazzelle, antilopi e poi bufali e poi zebre e gnu, anche facoceri e loro parenti di radunata destinati a mangiare e bere, pellegrinare e percorrere le ore dall’alba alla luna, vanno disegnandosi sulla mappa di un terreno memorabile, colmo di gradazioni e grafiche. Dalle ombrelle delle acacie spuntano, e si contano, i colli lenti delle giraffe che non è escluso guardino in su. Dentro la cosa che fa rombo, c’è uno di Romagna con gli strizzoni, non è bello ridirlo ma è così. Io conto i colli delle giraffe e insisto a porgere l’imbuto, a tenere il volantino, a correggerlo, a pompare, vorrei fotografare, scrivere, meditare, ahi e ancora ahi dice la voce del comandante, stiamo puntando ai grandi laghi con le giraffe antidiluviane di sotto, gli occhi strabuzzati di sopra, le carezzevoli e ripetute sinuosità dell’Uganda, di sicuro il posto più bello che abbiamo rigato con un volo a strappi. Al nuovo ahi del comandante si disegnano le mandrie erbivore degli elefanti. Gli elefanti hanno movimenti di massa, un popolo in diaspora cronica, il grigio delle pelli sottostanti è chiazzato di sole, albero dopo albero.
E’ più bello l’elefante libero o la Gioconda al Louvre? Sento insorgere dal di dentro una voce di Adamo, essere qui così, come oggi, contenuti in un piccolo dramma ma liberi di agire in avanti perché il motore canta nitido e le ali reggono. In definitiva, questo sarà il momento da iscrivere a futura memoria e ripassare per il seguito di una vita europea, gl’inverni e le stagioni in dialetto che verranno.
M.L.

lunedì 9 aprile 2012

Zanzibar, Prigioniera del suo Passato

Zanzibar è un luogo dalle mille sfaccettature che a lungo in passato ha ricoperto un ruolo centrale nella storia. Oggi Zanzibar è conosciuta soprattutto come paradiso delle vacanze, un nome che tutti conoscono solamente perché visto campeggiare sulle vetrine delle agenzie turistiche. Tuttavia oggi, come in passato, essa rappresenta molto di più di questo.
Una doverosa premessa si impone per inquadrare geograficamente Zanzibar: Zanzibar è un arcipelago formato da oltre quaranta isole; le più grandi sono Pemba e Unguja. Quest’ultima è quella che viene universalmente definita come l’isola di Zanzibar. Zanzibar non è più nazione autonoma dal 1964, quando unendosi al Tanganyka entrò a far parte della Repubblica Unita di Tanzania.
Zanzibar è la terra d’origine della lingua Swahili, lingua commerciale nata tra il 1000 ed il 1500 come fusione delle lingue araba, persiana e bantu. Quando si trattò, dopo l’indipendenza della Tanzania, di scegliere il dialetto più adatto per rappresentare la nuova lingua dello stato fu scelto il Kiunguja, cioè lo swahili parlato a Zanzibar.
Il periodo glorioso di Zanzibar inizia nel 1840, quando il sultano dell’Oman Said trasferisce la capitale del proprio regno da Muscat a Zanzibar. Questa decisione fu presa perché l’isola presentava terreni fertili, aveva un buon porto e acqua potabile. Said introdusse la coltivazione dei chiodi di garofano, ed il terreno si dimostrò talmente adatto da permettergli di conquistare il monopolio mondiale di questa coltura.
Said strinse accordi commerciali con americani ed europei e sull’isola vennero a stabilirsi aziende mercantili e corpi diplomatici. In breve tempo Zanzibar divenne anche il principale mercato di schiavi ed avorio di tutta l’Africa orientale. I due commerci erano intimamente collegati perché a provvedere al trasporto dell’avorio erano gli stessi schiavi provenienti dall’Africa centrale. L’isola visse una spettacolare fioritura, diventando una sorta di Singapore del commercio afro-asiatico, abitata da una popolazione mista composta da arabi, africani, indiani ed europei.
In questi anni l’interesse degli europei, in particolare di Inghilterra e Germania, cresce proporzionalmente all’importanza economica dell’arcipelago fino a che, nel 1890, le due potenze si accordano e Zanzibar diventa formalmente protettorato britannico.
Nel 1856, anno di arrivo di Burton e Speke a Zanzibar, iniziano le grandi esplorazioni alla ricerca delle sorgenti del Nilo. Negli anni successivi arrivarono con lo stesso scopo anche Livingstone e Stanley. Durante il periodo delle grandi esplorazioni dell’Africa centrale e orientale, Zanzibar era la porta del continente, il luogo dove assoldare portatori e acquistare viveri e attrezzature per il lungo e difficile viaggio. Tramontata l’era del commercio delle spezie e trasferita la supremazia commerciale al porto di Dar es Salaam, questo arcipelago perde gradualmente di importanza diventando come oggi si presenta ai turisti, e cioè una terra povera di risorse e vagamente in declino.
Le sue coste rimangono meravigliose, ma tutte le principali attrazioni turistiche si identificano nel ricordo del perduto splendore: dai pochi lembi di foresta primaria rimasta agli edifici omaniti e arabi ormai abbandonati. L’antica capitale Stone Town, che per la sua architettura potrebbe tranquillamente essere una città araba, è patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO eppure non sembra che ciò la stia salvando dal degrado.
Lo sfruttamento turistico delle isole, che poteva rappresentare un’occasione di rilancio economico per tutta la popolazione, di fatto si è tradotto in un’epoca di neo-colonialismo, con la costruzione di villaggi turistici di proprietà dei grandi gruppi del settore dove i turisti vengono reclusi e separati dalla gente di Zanzibar. La dimostrazione è che ogni anno arrivano a Zanzibar quasi 150.000 turisti (di cui un terzo italiani), soprattutto nei periodi Luglio-Agosto e Dicembre-Gennaio, eppure, anche nei momenti di massimo afflusso, girando per le stradine di Stone Town se ne vedono pochissimi.
Una settimana all’anno però Zanzibar si sveglia dal suo torpore e diventa nuovamente il centro della cultura africana. E’ la settimana di “Sauti za Busara” (le voci della saggezza), uno dei due principali eventi musicali di tutta l’Africa. In questi giorni è possibile ascoltare la musica taarab zanzibarina, nata dalla commistione di tutte le culture che sono passate da qui nel corso dei secoli.
Considerare Zanzibar come un luogo dove rilassarsi al mare è terribilmente riduttivo; i muri di Stone Town, gli antichi palazzi omaniti, i luoghi dove venivano nascosti gli schiavi dopo l’abolizione della schiavitù e le vecchie farm dove venivano coltivate le spezie per l’esportazione sono luoghi che trasudano storia, prosperità e atrocità, ricchezza e declino.

M.L.

Zanzibar: Prisoner of its Past

Zanzibar is an interesting and complex place that covered a central role in past history. Today Zanzibar is known mainly as vacation’s paradise, that everybody knows for having seen its name on tourist agencies’ shop windows. Nevertheless today, as in the past, Zanzibar represents much more.
Some preliminary remarks must be duly done with the regard to its geography: Zanzibar is an archipelago composed by more than forty islands; the two biggest islands are Pemba and Unguja. This last is the one universally defined as Zanzibar island. Zanzibar isn’t independent nation anymore since 1964, when joining Tanganyka became part of United Republic of Tanzania.
Zanzibar originated Swahili language, commercial language born between 1000 and 1500 a.D. as a melting of arab, persian and bantu cultures. When it was to decide the most suitable dialect to represent the language of the newborn country Kiunguja , Zanzibar’s Swahili, was the one chosen.
The glorious period of Zanzibar began in 1840, when the Oman’s sultan Said moved the capital from Muscat to Zanzibar. He toke this decision because the island was characterized by fertile soils, had a good seaport and clean water available. Said pushed cloves’ cultivation, and the soil was so suitable to that crop to allow Zanzibar to conquer the world monopoly in clove production.
Said established commercial agreements with Americans and Europeans, and diplomatic delegations and trade companies opened offices on the island. In short time Zanzibar became the main market for slave trade and ivory in the whole eastern Africa. These two traffics where closely related, because ivory tusks were transported by slaves during their trip from central Africa.
The island lived a huge growth, becoming a sort of Singapore of afro-asian commerce, inhabited by a mixture of cultures: Arabs, Africans, Indians and Europeans.
During these years the interest of powerful countries, such as Great Britain and Germany, grew proportionally with the rise of Zanzibar’s economical importance until 1890, when the two contenders signed a treaty for the passage of the archipelago under the British crown.
In 1856 arrived in Zanzibar Burton and Speke, and officially started the world run to seek Nile’s springs. In the following years pursued the same purpose, starting from here, Livingstone and Stanley. During the period of the great explorations in eastern and central Africa, Zanzibar was the continent’s gate, the place where to hire porters and buy foodstuffs and equipments for the long and dangerous journey.
Once concluded the age of spices’ trading and transferred the commercial supremacy to Dar es Salaam seaport, these islands lost gradually their importance becoming how tourists can see today: a land with scarce resources and in decline.
Zanzibar’s costs remain marvelous, but all the main tourist attractions preserve the memory of the lost glory, from the few portions of the ancient primary forest to the old deteriorated Arab and Omani buildings currently abandoned.
The ancient capital Stone Town, a city that could be exchanged for an Arab settlement, is an UNESCO world heritage site nevertheless it doesn’t seem this is saving it from the decay.
The touristic exploitation of the archipelago could represent a chance to boost again the economy for all the population, but it has actually inaugurated an epoch of neo-colonialism, with the construction of villages owned by big tourism international companies where tourists are segregated far from the local culture and inhabitants.
The demonstration lies in the fact that every year about 150.000 tourists visit Zanzibar (a third of them are Italians), mainly during high season (December-January and July-August) and walking around Stone Town even during the peaks of the flux you can see very few of them.
However, during a week a year Zanzibar shakes from its torpidity and becomes again the centre for African culture. It’s the week of “Sauti za Busara”, one of the two most important African music festival. In these days is possible to hear the “taarab” music, born in Zanzibar from the fusion of all the cultures passed here across the centuries.
Consider Zanzibar as a place where to relax in the beach in front of a beautiful sea is terribly reductive; the walls of Stone Town, the ancient Omani buildings, the sites where slaves were kept after slavery abolition and the farms where spices were cultivated for international export exude history, prosperity and atrocity, richness and decadence.
M.L.