sabato 27 marzo 2010

Povera Agricoltura, Poveri Noi

Comincerò riportando alcuni dati:

_ Il 37,5% della popolazione mondiale trae il proprio reddito dall’agricoltura, ma questa percentuale è la sintesi di estremi diametralmente opposti. E’ la media cioè di paesi come l’Italia in cui solo il 4,2% della popolazione lavora in agricoltura e di altri come il Niger in cui il 90% della popolazione trae dalla terra il proprio sostentamento (fonte: CIA world factbook);
_ Solo il 6% del PIL mondiale deriva dall’agricoltura (fonte: CIA world factbook);
_ Nel 2006 il 6,4% della popolazione europea era impiegata in agricoltura (fonte: Eurostat);
_ Nel 2009 circa il 44% dei fondi dell’unione europea sono stati destinati ad agricoltura e sviluppo rurale (fonte: bilancio UE);

Come si spiega questo ingente dispendio di risorse da parte dell’Unione in un settore così “marginale” da un punto di vista occupazionale? Perché l’Unione Europea dovrebbe impegnarsi così tanto in un ambito che coinvolge così pochi cittadini?
Tutti i fondi che l’Unione Europea destina all’agricoltura diventano aiuti e contributi senza i quali questo settore probabilmente non esisterebbe più in Europa. Questi sussidi, insieme alle barriere commerciali e legislative attuate dall’Unione, consentono agli agricoltori europei di trarre ancora un minimo guadagno da questa attività e di rimanere in qualche modo competitivi sul mercato. Purtroppo questo intervento della politica comunitaria sull’andamento dei mercati e dei prezzi dei prodotti agricoli sta cominciando ad affondare miseramente. Ciò avviene in primo luogo perché anche all’interno dell’Unione a 27 membri ci sono stati in grado di produrre a prezzi decisamente inferiori, e in secondo luogo perché l’organizzazione dei mercati provoca un distribuzione dei profitti lungo la filiera commerciale che penalizza pesantemente i produttori.
L’agricoltura, nonostante gli aiuti, sta vivendo una crisi gravissima ed in molti paesi rischia seriamente di sparire.
A questo punto torniamo alla domanda formulata in precedenza: ma è davvero essenziale un settore che impegna così tante risorse distribuendole su un numero di cittadini così esiguo?
Innanzitutto non si può affrontare questo argomento con gli stessi parametri che si utilizzerebbero per altri settori economici come l’industria o i servizi.
L’agricoltura non è un settore come gli altri.
La società umana così come la concepiamo oggi esiste solo grazie all’agricoltura. Se alcuni uomini non si prendessero carico della produzione di alimenti gli altri non si potrebbero dedicare alla cultura, alla scienza, all’arte, alla politica. Se tutti gli individui che compongono una società (come avveniva ed ancora avviene nelle primitive società di cacciatori-raccoglitori) fossero impegnati nell’approvvigionamento di cibo, quella civiltà non potrebbe progredire. L’innesco allo sviluppo sociale, civile, tecnologico, culturale dell’umanità è stata l’invenzione dell’agricoltura. Essa ha inoltre permesso all’uomo di riunirsi in insediamenti proto-urbani, di concentrare la popolazione in territori limitati consentendo lo scambio di informazioni, la stratificazione sociale, la creazione di eserciti. Le civiltà che per prime hanno scoperto l’agricoltura sono state quelle che sono emerse vittoriosamente nel corso della storia. Il libro “armi, acciaio e malattie” di J.Diamond spiega con grande semplicità queste dinamiche attribuendo all’agricoltura il ruolo chiave nella storia dell’uomo moderno.
L’agricoltura produce riflessi fondamentali su molti aspetti della nostra vita di tutti i giorni. In particolare essa influenza in modo decisivo la nostra cultura, secondo la celebre frase del filosofo Ludwig Feuerbach “Noi siamo ciò che mangiamo”. Noi italiani dovremmo essere i più strenui sostenitori e difensori dell’agricoltura, perché essa rappresenta l’essenza stessa della nostra storia e del nostro presente. E non parlo solo della cucina, aspetto che sappiamo apprezzare e riconoscere forse solo quando ci rechiamo in qualunque altro paese del mondo. Mi riferisco anche al territorio e come l’agricoltura "vesta" il nostro paesaggio. Essa svolge una funzione non solo estetica, ma anche e soprattutto di difesa dei terreni, di regimentazione delle acque superficiali, di razionalizzazione della presenza umana.
Quanta storia è presente nella lavorazione artigianale dei prodotti agricoli, nella realizzazione delle nostre produzioni tipiche che contengono quel sapere artistico che ha fissato nel corso dei secoli i gesti traducendoli poi in tradizioni!
Purtroppo, proprio in Italia l’agricoltura agonizza come in pochi altri paesi del mondo accade.
Concludo con una frase di Norman Borlaug, premio Nobel per la pace : “Non esiste alcun bene che sia più essenziale del cibo. Senza questo le persone muoiono , le organizzazioni sociali e politiche si disintegrano, le civiltà collassano”.
M.L.

giovedì 11 marzo 2010

Starship Troopers

Avete mai visto il film "Starship Troopers" in cui l'esercito della Terra combatte contro insetti giganti alieni che colonizzano i pianeti della galassia? Se sì, bene. Se no e vi piace il genere splatter non potete proprio perderlo.

E' capitato molte volte in Africa che ripensassi a quel film, e questo succedeva ogni volta che ci scontravamo con ostici rappresentanti della Classe Insetti. L'unica differenza con quel film è che i terrestri, cioè noi, ne uscivano invariabilmente sconfitti.

E' stato il caso della Nairobi Fly, minuscolo coleottero del genere Paederus intriso di un veleno (la "pederina") più potente di quello del cobra. All'inizio della stagione delle piogge, per un paio di settimane al massimo, capitava spesso di avvertire un solletico al viso o al collo, e la reazione istintiva era quella di grattarsi tentando di allontanare il fastidioso ed ignoto insetto. I segni di questo incauto gesto divenivano visibili dopo alcune ore. La pelle necrotizzava per poi sfaldarsi in brandelli, come se si fosse subita una brutta bruciatura. Il motivo era che grattandosi si finiva per schiacciare l'insettino, liberando il potente veleno che agiva per contatto. La cosa curiosa era che ad essere più colpiti erano coloro che avevano l'elettricità a casa. La Nairobi Fly infatti di notte viene attratta dalla luce. In questo modo quindi le dermatiti colpivano epidemicamente e selettivamente la parte più benestante della popolazione, mentre i più poveri che vivevano nelle capanne ne rimanevano esenti.



Un altro caso di scontro con insetti ostili ha riguardato le formiche legionarie del genere Dorylus, le temibili "siafu" che tutti in Africa Orientale conoscono e temono più dei serpenti velenosi. Le siafu si muovono sempre in colonne costituite da una moltitudine di individui, ed ogni colonia è costituita da due categorie di formiche. Le operaie, piccole e apparentemente innocue, e le soldato, enormi formiche in grado di infliggere morsi dolorosissimi servendosi delle potenti mascelle. Queste formiche formano a terra una lunga striscia nera della quale non si distingue l'inizio e la fine e che non si arresta davanti a nulla.

La colonia viene difesa in maniera molto efficace dalle formiche soldato, le quali allontanano a suon di morsi qualunque scocciatore. La stretta delle loro mascelle è talmente potente che anche dopo essere state uccise e decapitate non mollano la presa. Non c'è indumento abbastanza spesso da proteggere dal morso. Questi insetti diventano realmente pericolosi quando alla malcapitata vittima viene impedita la fuga. E' quello che è successo in due occasioni, quando nell'azienda del progetto venne ucciso un maiale che aveva problemi agli arti e che non poteva alzarsi e quando nella stalla di casa venne ucciso un capretto neonato, troppo piccolo e debole per sfuggire all'orda famelica.

Il rimedio più comunemente adottato per interrompere l'invasione di queste formiche è quello di spargere intorno alla zona attaccata del cherosene ed appiccare un fuoco in grado di spezzare la colonna di insetti e di farli desistere dai loro propositi assassini.

E questa è la soluzione che scegliemmo anche la volta in cui fui svegliato dal guardiano notturno perché la stalla delle capre stava subendo un attacco da parte delle legionarie. Gli animali, imprigionati all'interno, belavano disperati e impotenti implorando il nostro aiuto per non soccombere all'assalto. Quando entrammo nella stalla gli animali erano già ricoperti di formiche e si dimenavano furiosamente per sottrarsi ai morsi delle formiche soldato. Ci disinteressammo delle capre ben sapendo che se non riuscivamo a fermare la colonna in entrata sarebbero stati perduti. Accendemmo prima alcuni falò intorno alla stalla, congiungendoli poi con ponti di cherosene infiammato. Mentre eravamo intenti ad appiccare i fuochi, venivamo punti a nostra volta e qualunque tentativo di evitare i morsi si rivelava vano, perché le formiche continuavano a colpire anche dopo la morte. Lentamente riuscimmo a creare uno sbarramento all'avanzata della subdola armata, dopodiché ci dedicammo a staccare le formiche che erano rimaste attaccate un po’ ovunque nel corpo.


Non starò a raccontare degli episodi legati ai bruchi giganti che hanno devastato il giardino e l'orto, all'invasione di termiti, alle pulci penetranti, allo scorpione enorme e corazzato che impediva il passaggio o alle cavallette mangiate fritte. Mi sembra di aver già reso sufficientemente l'idea.


M.L.




lunedì 1 marzo 2010

Incidenti di Percorso (2)

I fatti riportati si riferiscono al Gennaio 2008, quando Francesca ed io ci trasferimmo per due mesi in un altro villaggio (Ikondo), allo scopo di sopperire all'assenza temporanea di espatriati che gestissero le attività del progetto.

Infuriava in pieno la stagione delle piogge, e nonostante questo eravamo costretti, una volta alla settimana, a recarci in città (Njombe) per acquistare cibo e materiali, oltre che assolvere agli obblighi burocratici legati al nostro lavoro.

Le commissioni erano sempre numerose e spesso capitava di tornare verso il villaggio in piena notte e sotto la pioggia battente. Inoltre non rifiutavamo mai un passaggio a chi ce lo chiedeva, compatibilmente alla disponibilità di posti nell'auto. Non eravamo mai meno di 6-7 persone.

Quella sera oltre a noi erano a bordo l'autista e tre suoi familiari. Tra sgommate e derapate riuscimmo a farci largo nei punti più brutti della strada allagata e ridotta ad una striscia di melma. Era notte, e non vedevamo l'ora di arrivare per poter tirare un sospiro di sollievo.

A circa venti chilometri da Ikondo, presso il villaggio di Ukalawa, trovammo l'ostacolo. Un camion si era impantanato e l'autista aveva disteso tutto il carico di tè sulla strada. Le foglie di tè infatti, bagnate e pressate all'interno del camion, a quelle temperature avrebbero iniziato immediatamente a fermentare e tutto il carico sarebbe andato perduto.


Non c'era spazio per passare con l'auto e rischiare il fuoripista in quel punto sarebbe stato eccessivamente rischioso, dato che la strada si trovava schiacciata tra una parete ed un precipizio.

Fu immediatamente evidente che per la prima volta non saremmo riusciti raggiungere la nostra meta. Le condizioni imponevano dunque di trovare un posto dove dormire a Ukalawa, che era solo un minuscolo agglomerato di capanne. Ci recammo con l'autista presso il negozietto del villaggio, che fungeva anche da punto di ritrovo per la comunità locale. Chiedemmo se ad Ukalawa fosse esistito un posto dove poter pernottare, e la fortuna (se così si può chiamare) ci assistette. Un abitante del villaggio possedeva, di fianco alla propria capanna, una piccola costruzione con mattoni cotti e tetto in lamiera (extralusso insomma) con una camera a disposizione dei forestieri. L'autista gentilmente ci offrì questa opportunità, mentre lui e la sua famiglia avrebbero trascorso la notte in macchina.

Fummo condotti fino alla casetta, che si trovava poco distante incastonata in un boschetto di banani. La camera era grande esattamente quanto un letto ad una piazza. Il letto era costituito da un'impalcatura di legno senza materasso né coperte né cuscini. La porta non aveva serratura. Cenammo con del formaggio che avevamo acquistato la mattina in città. Dopo cena accendemmo il computer portatile e guardammo, in uno dei luoghi più remoti ed arretrati del pianeta, un episodio di Star Trek. Purtroppo il debole volume del portatile non riusciva a superare lo scroscio della pioggia sulle lamiere né coprire i passi dei topi che zampettavano allegramente sulla struttura del tetto. Tuttavia questo incredibile contrasto, possibile solo nel mondo attuale, ci restituì il buonumore.


M.L.