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venerdì 5 maggio 2017

Maschere Africane

La tradizione di produrre e indossare maschere era un tempo molto radicata presso numerosi gruppi etnici dell'Africa occidentale e centrale (i popoli più propriamente Bantu).
Nell'immaginario occidentale le maschere sono sculture di legno. In realtà più spesso erano completate da fibre vegetali, conchiglie, tessuti. Nella maggioranza dei casi facevano parte di costumi completi che venivano indossati dagli stregoni o dai capi spirituali delle varie tribù nel corso delle cerimonie.
Le maschere rappresentavano gli spiriti o forze della natura e chi le indossava diveniva mediatore tra il mondo degli uomini e quello degli dei e degli spiriti.
Le cerimonie e gli spettacoli in cui venivano utilizzate avevano uno scopo educativo, di intrattenimento, di controllo sociale ed economico, punitivo e di esercizio del potere.
Esse rappresentavano oggetti sacri che venivano custoditi all'interno di luoghi protetti e la loro visione al di fuori della cerimonia era proibita ai non iniziati.
Purtroppo questa tradizione nel corso dei decenni è stata inquinata dal loro utilizzo a fini commerciali e turistici. Gli artigiani hanno cominciato a intagliare modelli di maschere che non hanno alcuna attinenza con i modelli originali con l'obbiettivo di incontrare il gusto dei turisti.
Di seguito riporto una carrellata degli stili più riconoscibili e riconducibili ad un preciso gruppo etnico. Quasi sempre il gruppo etnico non è limitato all'interno dei confini geografici di una nazione, essendo presente in due o più nazioni limitrofe.

Bambara (Mali)


Chokwe (Angola, R.D. del Congo, Zambia)


Dan (Liberia, Costa d'Avorio)


Fang (Camerun)


Igbo (Nigeria)


Luba o Baluba (R.D. del Congo)


Makonde (Mozambico, Tanzania)


Mende (Sierra Leone)


Mossi (Burkina Faso)


Punu o Bapunu (Gabon)


Senufo (Mali, Costa d'Avorio, Burkina Faso)


Songye (R.D. del Congo)


Yaoure (Costa d'Avorio)


Dogon (Mali)

Distribuzione continentale della tradizione di produrre maschere








domenica 15 marzo 2015

Goran Bregovic: Pensieri e Aforismi

Nato a Sarajevo da padre croato e madre serba Goran Bregovic compone e suona musica per bere e ballare (è una sua definizione), dando voce alle culture musicali popolari dei Balcani
soprattutto, ma anche dei paesi che ha attraversato nel corso della sua vita artistica in giro per il mondo.  
La sua orchestra riflette la sua cultura musicale e la sua idea di società multietnica. E’ composta da un sassofonista professore in due accademie, due trombettisti analfabeti, un baritonista insegnante all’accademia per piano e trombone, un cantante rom rifugiato kosovaro, due cantanti soliste del coro statale delle voci bulgare, ecc.
Di seguito una raccolta di suoi pensieri riportati su interviste radiofoniche e giornalistiche, religiosamente raccolti nel corso degli anni.

domenica 15 giugno 2014

Amsterdam, Tropenmuseum

Il Tropenmuseum o Museo dei Tropici di Amsterdam è un museo etnografico collocato in uno splendido edificio storico situato in una meravigliosa zona verde di Amsterdam. Il piano inferiore del museo è dedicato alle mostre temporanee, caratterizzate da tecnica espositiva moderna e interattiva. In questo piano è presente anche un’area didattica interamente dedicata ai bambini. I piani superiori invece rappresentano l’esposizione permanente, suddivisa per aree geografiche. La parte più interessante e dettagliata del Tropenmuseum custodisce una ricchissima collezione di reperti etnologici raccolti nel corso delle spedizioni in Papua Nuova Guinea dall'antropologo Pauk Wirz e acquistate dal Museo nel 1911. Sono esposti costumi per cerimoniali, antiche asce, utensili, tamburi e strumenti musicali, vasi decorati, contenitori per alimenti, canoe da guerra e persino maschere per riti funerari costruite assemblando parti di crani. Impressionante la collezione di Korwars (antiche

lunedì 9 dicembre 2013

La Sacra di San Michele

Immaginate di essere un devoto cristiano del medioevo od un cavaliere templare e di recarvi in pellegrinaggio verso Gerusalemme. Provenite dal nord della Francia e per raggiungere il medio oriente dovete imbarcarvi a Brindisi, nella punta dello zoccolo italico. Avete appena oltrepassato il maestoso arco alpino, inerpicandovi su irti e insidiosi sentieri montani. Avete il cuore colmo di Fede ma siete provati dalla fatica e dalle privazioni. Imboccata la Valle del fiume Dora  rimanete a bocca aperta. Sulla cima di uno sperone roccioso a picco sulla valle, sfidando le leggi della gravità e la comprensione dell’uomo, si trova la Sacra di San Michele, il luogo dove il vostro spirito ed il vostro corpo troveranno riposo e nuove energie.
Sono trascorsi oltre mille anni, guerre e domini, ma questo edificio continua a suscitare un senso di mistico stupore in tutti coloro che lo avvistano percorrendo la Val di Susa.
La Sacra di San Michele ha subito

domenica 20 ottobre 2013

Tingatinga

Una strada polverosa e sconnessa, clacson e grida, baracche di legno, odore di vernice … dalla descrizione non sembra un luogo attraente, eppure è la meta più famosa di Dar es Salaam. E’ la cooperativa dei pittori di tingatinga, lo stile pittorico più originale d’Africa.
I colori sgargianti e netti, le figure caricaturali e la grande varietà di rappresentazioni contraddistinguono questa corrente artistica che spicca nettamente nel panorama espressivo africano. Quando un turista acquista un tingatinga ha sempre l’impressione di essersi aggiudicato un’opera d’arte, non un souvenir.
Questo stile particolarissimo nasce grazie alla creatività del suo inventore, Edward Saidi Tingatinga. Tingatinga nasce nel 1932 in un piccolo villaggio della Tanzania meridionale presso  una famiglia contadina e povera come tante in Tanzania. Le condizioni disagiate della famiglia non gli consentono di studiare, e dopo

lunedì 29 luglio 2013

L'Africa di Moravia

Alberto Moravia ebbe una bruciante e insaziabile passione verso l’Africa. Insieme alla compagna Dacia Maraini visitò, tra il 1962 e il 1979, una quindicina di nazioni africane alcune delle quali furono meta di più di un viaggio. Nei tre volumi Passeggiate Africane, A quale Tribù appartieni? e Lettere dal Sahara sono raccolti i diari compilati nel corso dei loro viaggi. A questi viaggi parteciparono anche altri artisti come Pasolini e Maria Callas. Nei confronti delle popolazioni locali Moravia adottò un approccio di tipo antropologico, descrivendone dettagliatamente tradizioni, abbigliamento e stili di vita. L’aspetto più interessante di          questi scritti risiede nel fatto che Moravia fu in grado di compiere una vera e propria lettura esegetica delle realtà che incontrò, la cui interpretazione lo portò a formulare un tema che ricorre costantemente in tutti i suoi testi. Egli era convinto infatti che l’Africa fosse rimasta preistoria, perché in Africa la storia non si frappone tra l’uomo e la Natura. E la preistoria incute una paura ancestrale nell’uomo.  Secondo Moravia la paura ed il mal d’Africa sono lo stesso sentimento che viene provato ad intensità diversa dagli africani e dagli europei.
Il mal d’Africa è un fascino con un fondo

lunedì 24 giugno 2013

Misy Andro Miavaka

Conservo molti ricordi indelebili del meraviglioso viaggio a zonzo per il Madagascar di otto anni fa. Uno dei più nitidi mi riporta a Tsiroanomandidy quando ogni sera sedevo insieme ai ragazzi che a vario titolo abitavano la missione (per lo più studenti e seminaristi) ascoltando rapito le canzoni che accompagnavano la preparazione del loro pasto. Una di queste canzoni  mi piacque così tanto che chiesi di loro di cantarla davanti alla mia fotocamera digitale impostata nella funzione di videoregistrazione e di scrivermi il testo. Non volevo dimenticare quella melodia capace di infondere in me allegria e serenità. Purtroppo il testo andò perduto nel corso dei numerosi traslochi che si susseguirono negli anni. O almeno così credevo fino a pochi giorni fa, quando il foglietto recante il testo di quella canzone è riapparso dal nulla tra le pagine di un vecchio quaderno per appunti. Finalmente video, musica e testo si sono potuti incontrare di nuovo ed ho potuto constatare che il loro potere di emozionarmi si è conservato intatto.

 

Misy andro miavaka
Natolotry ny taona mifan

domenica 16 giugno 2013

Seydou Kienou

Montaggio video dell'esibizione di Seydou Kienou in occasione della festa del cinquantennale del Comitato per la Lotta contro la Fame nel Mondo di Forlì. Seydou è un burkinabè romagnolo diventato una e vera e propria celebrità locale grazie alla sua grande abilità nelle percussioni e alla sua innata capacità di coinvolgere il pubblico.
Chi volesse contattarlo per chiedergli di esibirsi non si faccia scrupoli: lui è ben contento!

seydoukienou78@gmail.com Tel. +39 3278140108 - +39 3774422067


lunedì 9 aprile 2012

Zanzibar, Prigioniera del suo Passato

Zanzibar è un luogo dalle mille sfaccettature che a lungo in passato ha ricoperto un ruolo centrale nella storia. Oggi Zanzibar è conosciuta soprattutto come paradiso delle vacanze, un nome che tutti conoscono solamente perché visto campeggiare sulle vetrine delle agenzie turistiche. Tuttavia oggi, come in passato, essa rappresenta molto di più di questo.
Una doverosa premessa si impone per inquadrare geograficamente Zanzibar: Zanzibar è un arcipelago formato da oltre quaranta isole; le più grandi sono Pemba e Unguja. Quest’ultima è quella che viene universalmente definita come l’isola di Zanzibar. Zanzibar non è più nazione autonoma dal 1964, quando unendosi al Tanganyka entrò a far parte della Repubblica Unita di Tanzania.
Zanzibar è la terra d’origine della lingua Swahili, lingua commerciale nata tra il 1000 ed il 1500 come fusione delle lingue araba, persiana e bantu. Quando si trattò, dopo l’indipendenza della Tanzania, di scegliere il dialetto più adatto per rappresentare la nuova lingua dello stato fu scelto il Kiunguja, cioè lo swahili parlato a Zanzibar.
Il periodo glorioso di Zanzibar inizia nel 1840, quando il sultano dell’Oman Said trasferisce la capitale del proprio regno da Muscat a Zanzibar. Questa decisione fu presa perché l’isola presentava terreni fertili, aveva un buon porto e acqua potabile. Said introdusse la coltivazione dei chiodi di garofano, ed il terreno si dimostrò talmente adatto da permettergli di conquistare il monopolio mondiale di questa coltura.
Said strinse accordi commerciali con americani ed europei e sull’isola vennero a stabilirsi aziende mercantili e corpi diplomatici. In breve tempo Zanzibar divenne anche il principale mercato di schiavi ed avorio di tutta l’Africa orientale. I due commerci erano intimamente collegati perché a provvedere al trasporto dell’avorio erano gli stessi schiavi provenienti dall’Africa centrale. L’isola visse una spettacolare fioritura, diventando una sorta di Singapore del commercio afro-asiatico, abitata da una popolazione mista composta da arabi, africani, indiani ed europei.
In questi anni l’interesse degli europei, in particolare di Inghilterra e Germania, cresce proporzionalmente all’importanza economica dell’arcipelago fino a che, nel 1890, le due potenze si accordano e Zanzibar diventa formalmente protettorato britannico.
Nel 1856, anno di arrivo di Burton e Speke a Zanzibar, iniziano le grandi esplorazioni alla ricerca delle sorgenti del Nilo. Negli anni successivi arrivarono con lo stesso scopo anche Livingstone e Stanley. Durante il periodo delle grandi esplorazioni dell’Africa centrale e orientale, Zanzibar era la porta del continente, il luogo dove assoldare portatori e acquistare viveri e attrezzature per il lungo e difficile viaggio. Tramontata l’era del commercio delle spezie e trasferita la supremazia commerciale al porto di Dar es Salaam, questo arcipelago perde gradualmente di importanza diventando come oggi si presenta ai turisti, e cioè una terra povera di risorse e vagamente in declino.
Le sue coste rimangono meravigliose, ma tutte le principali attrazioni turistiche si identificano nel ricordo del perduto splendore: dai pochi lembi di foresta primaria rimasta agli edifici omaniti e arabi ormai abbandonati. L’antica capitale Stone Town, che per la sua architettura potrebbe tranquillamente essere una città araba, è patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO eppure non sembra che ciò la stia salvando dal degrado.
Lo sfruttamento turistico delle isole, che poteva rappresentare un’occasione di rilancio economico per tutta la popolazione, di fatto si è tradotto in un’epoca di neo-colonialismo, con la costruzione di villaggi turistici di proprietà dei grandi gruppi del settore dove i turisti vengono reclusi e separati dalla gente di Zanzibar. La dimostrazione è che ogni anno arrivano a Zanzibar quasi 150.000 turisti (di cui un terzo italiani), soprattutto nei periodi Luglio-Agosto e Dicembre-Gennaio, eppure, anche nei momenti di massimo afflusso, girando per le stradine di Stone Town se ne vedono pochissimi.
Una settimana all’anno però Zanzibar si sveglia dal suo torpore e diventa nuovamente il centro della cultura africana. E’ la settimana di “Sauti za Busara” (le voci della saggezza), uno dei due principali eventi musicali di tutta l’Africa. In questi giorni è possibile ascoltare la musica taarab zanzibarina, nata dalla commistione di tutte le culture che sono passate da qui nel corso dei secoli.
Considerare Zanzibar come un luogo dove rilassarsi al mare è terribilmente riduttivo; i muri di Stone Town, gli antichi palazzi omaniti, i luoghi dove venivano nascosti gli schiavi dopo l’abolizione della schiavitù e le vecchie farm dove venivano coltivate le spezie per l’esportazione sono luoghi che trasudano storia, prosperità e atrocità, ricchezza e declino.

M.L.

Zanzibar: Prisoner of its Past

Zanzibar is an interesting and complex place that covered a central role in past history. Today Zanzibar is known mainly as vacation’s paradise, that everybody knows for having seen its name on tourist agencies’ shop windows. Nevertheless today, as in the past, Zanzibar represents much more.
Some preliminary remarks must be duly done with the regard to its geography: Zanzibar is an archipelago composed by more than forty islands; the two biggest islands are Pemba and Unguja. This last is the one universally defined as Zanzibar island. Zanzibar isn’t independent nation anymore since 1964, when joining Tanganyka became part of United Republic of Tanzania.
Zanzibar originated Swahili language, commercial language born between 1000 and 1500 a.D. as a melting of arab, persian and bantu cultures. When it was to decide the most suitable dialect to represent the language of the newborn country Kiunguja , Zanzibar’s Swahili, was the one chosen.
The glorious period of Zanzibar began in 1840, when the Oman’s sultan Said moved the capital from Muscat to Zanzibar. He toke this decision because the island was characterized by fertile soils, had a good seaport and clean water available. Said pushed cloves’ cultivation, and the soil was so suitable to that crop to allow Zanzibar to conquer the world monopoly in clove production.
Said established commercial agreements with Americans and Europeans, and diplomatic delegations and trade companies opened offices on the island. In short time Zanzibar became the main market for slave trade and ivory in the whole eastern Africa. These two traffics where closely related, because ivory tusks were transported by slaves during their trip from central Africa.
The island lived a huge growth, becoming a sort of Singapore of afro-asian commerce, inhabited by a mixture of cultures: Arabs, Africans, Indians and Europeans.
During these years the interest of powerful countries, such as Great Britain and Germany, grew proportionally with the rise of Zanzibar’s economical importance until 1890, when the two contenders signed a treaty for the passage of the archipelago under the British crown.
In 1856 arrived in Zanzibar Burton and Speke, and officially started the world run to seek Nile’s springs. In the following years pursued the same purpose, starting from here, Livingstone and Stanley. During the period of the great explorations in eastern and central Africa, Zanzibar was the continent’s gate, the place where to hire porters and buy foodstuffs and equipments for the long and dangerous journey.
Once concluded the age of spices’ trading and transferred the commercial supremacy to Dar es Salaam seaport, these islands lost gradually their importance becoming how tourists can see today: a land with scarce resources and in decline.
Zanzibar’s costs remain marvelous, but all the main tourist attractions preserve the memory of the lost glory, from the few portions of the ancient primary forest to the old deteriorated Arab and Omani buildings currently abandoned.
The ancient capital Stone Town, a city that could be exchanged for an Arab settlement, is an UNESCO world heritage site nevertheless it doesn’t seem this is saving it from the decay.
The touristic exploitation of the archipelago could represent a chance to boost again the economy for all the population, but it has actually inaugurated an epoch of neo-colonialism, with the construction of villages owned by big tourism international companies where tourists are segregated far from the local culture and inhabitants.
The demonstration lies in the fact that every year about 150.000 tourists visit Zanzibar (a third of them are Italians), mainly during high season (December-January and July-August) and walking around Stone Town even during the peaks of the flux you can see very few of them.
However, during a week a year Zanzibar shakes from its torpidity and becomes again the centre for African culture. It’s the week of “Sauti za Busara”, one of the two most important African music festival. In these days is possible to hear the “taarab” music, born in Zanzibar from the fusion of all the cultures passed here across the centuries.
Consider Zanzibar as a place where to relax in the beach in front of a beautiful sea is terribly reductive; the walls of Stone Town, the ancient Omani buildings, the sites where slaves were kept after slavery abolition and the farms where spices were cultivated for international export exude history, prosperity and atrocity, richness and decadence.
M.L.

giovedì 26 gennaio 2012

Homeless

[...] So soltanto che certi registi realizzano film meravigliosi con budget miseri, superando ogni ostacolo. Altri fanno musica che nessuno vuole ascoltare, a parte forse un paio di pazzoidi, tuttavia nessuno riuscirebbe a distoglierli da quello che fanno, perchè bruciano di passione. Altri ancora non possono permettersi la grappa che li aiuta a scrivere ma, se per caso trovi qualche loro opera in rete e la scarichi, ti commuovi per come l'umanità si fonde con l'invendibilità, e capisci che i sentimenti più grandi germogliano sempre nel piccolo, nell'intimo, nel disperato. [...]
Da questo punto di vista, la donna più bella del mondo non può competere con la più miserevole puttana. Non esiste lusso che possa darti la sensazione di essere vivo come una sbornia presa coi tipi giusti, o come tastare un naso rotto se l'hai presa con quelli sbagliati. Soggiorno negli alberghi più belli del mondo, eppure una stanza che puzza di muffa in un quartiere in cui nessuno metterebbe volontariamente piede, ma abitata da qualcuno che ha un grande sogno, mi commuove più di un viaggio sulla Luna.

Testo tratto dal libro "Limit" di Frank Schatzing.


Galleria fotografia di Lee Jeffries, che ritrae in bianco e nero i volti di senzatetto incontrati in Europa e Stati Uniti.


martedì 29 novembre 2011

Il Museo Archeologico di Sarsina (2)

Uno dei pezzi forti del Museo di Sarsina è il "Trionfo di Dioniso", un enorme mosaico di 50 m2 appartenuto ad un'abitazione privata e datato III sec. d.C.
Il mosaico raffigura, nel suo elemento centrale, Dioniso su un carro trainato da tigri e governato da Pan e da un Satiro. Attorno all'elemento centrale vi sono vari animali europei tra cui un cervo ed un cinghiale ed altri esotici quali il leone, il leopardo, la faraona.
Tra le figure disposte in cerchio intorno al disegno principale c'è un uccello che ha attirato immediatamente la mia attenzione.
Questo uccello dalle ali azzurre, il petto viola e la striscia nera sull'occhio è sorprendentemente simile alla ghiandaia pettolilla (Coracias caudatus), uccello molto diffuso nell'Africa sub-sahariana.
La somiglianza a mio avviso non è casuale. Sarsina era un luogo di intensi traffici commerciali e i mercanti in transito da e per Roma provenivano da tutto il mondo conosciuto. Ciò che veramente lascia sbalorditi è che l'artista che ha eseguito il mosaico deve aver visto di persona questo uccello, perchè l'accuratezza dei dettagli è troppo elevata. Non è difficile quindi immaginare di un mercante nordafricano, solito trattenere contatti commerciali con le carovane che attraversavano il Sahara, che deve aver acquistato questo uccello in gabbia e tentato di vendere questa rarità sul mercato romano.
Nel mosaico è anche raffigurata un'antilope con le corna "a cavatappi". Qui il parallelismo è più facile, perchè senza troppa approssimazione deve trattarsi di un eland o taurotrago.
M.L.

Il Museo Archeologico di Sarsina

Il Museo Archeologico (Nazionale) di Sarsina è uno dei segreti meglio nascosti della Romagna. Per un Museo questa non è certo una nota di merito, ma un fatto innegabile è che gli stessi romagnoli non conoscono le meraviglie che vi sono celate all’interno.
Diversi pezzi conservati nel Museo di Sarsina meriterebbero sale a loro dedicate al Metropolitan di New York o al British Museum di Londra.
Le fotografie non rendono loro giustizia e soltanto di persona è possibile cogliere la loro magnificenza ed importanza.
Di fatto si tratta di uno dei musei della civiltà romana più importanti dell’Italia Settentrionale e dovrebbe costituire una meta obbligata dei giri turistici e delle gite scolastiche in queste zone. Così, purtroppo, non è.
La maggior parte dei reperti provengono dalla Necropoli romana di Pian di Bezzo, i cui scavi principali sono stati condotti tra il 1927 ed il 1933. Alcune interessanti fotografie dell’epoca documentano le condizioni in cui venivano svolti gli scavi.
Trattandosi di una necropoli, ne consegue che molti oggetti e strutture rinvenute fossero di carattere funerario. L’imponenza di alcuni mausolei racconta con chiarezza l’importanza e la ricchezza delle persone cui furono dedicati, e testimonia come Sarsina, un piccolo centro sull’Appennino romagnolo, in passato non fosse né piccolo né isolato ma anzi si trovasse al centro di remunerativi traffici commerciali.

Che l’antica Sarsina fosse una località di intensi scambi commerciali e culturali è testimoniato anche dalle statue raffiguranti divinità appartenenti ai culti romano, greco, frigio, egizio ed orientale.
Il pezzo forte della collezione è senza dubbio l’imponente mausoleo di Rufus del I secolo a.C. che raggiunge i 13,5 metri di altezza. La sua disposizione al fianco di una luminosa vetrata da cui traspare una chiesa posta nelle vicinanze del museo è incredibilmente suggestiva ed esalta le caratteristiche di questo stupendo monumento.
Il museo ripercorre inoltre numerosi aspetti della vita quotidiana del tempo, dall’arredamento delle case, al cibo, alle tradizioni, ad opere di ingegneria idraulica, fino all’arte ed alla poesia in cui i romani eccellevano.
Nella prima sala è esposto un cippo funerario intitolato a Marcana Vera, che in forma di acrostico riporta una poesia meravigliosa:
Ver tibi contribuant sua munera florea grata
Et tibi grata comis nutet aestiva voluptas
Reddat et autumnus Bacchi tibi munera semper
Ac levi hiberni tempus tellure dicetur

La primavera ti offra il suo contributo di doni floreali a te graditi
E la voluttà dell'estate si inchini a te gradita sotto il peso delle sue spighe di grano
E l'autunno ti riporti sempre i doni di Bacco
E allora perfino la stagione invernale per la terra che ti ricopre si dirà piacevole
In una sala del secondo piano sono raccolti alcuni reperti delle civiltà umbre pre-romane, tra cui spiccano alcuni bronzetti votivi rinvenuti nell’attuale campo sportivo di Sarsina.
M.L.

mercoledì 16 novembre 2011

Modigliani e l'Art Nègre

Mi sono sempre chiesto come mai le opere di Amedeo Modigliani suscitassero in me un fascino così potente. L’esibizione “il Mistico Profano” dedicata a Modigliani tenuta nel 2010 al Museo d’Arte Moderna di Gallarate ha chiarito definitivamente questo mio quesito.
Tutto ebbe inizio nel 1897 a Bruxelles quando, all’interno dell’Esposizione Internazionale, fu dedicato ampio spazio ad alcuni reperti del museo coloniale di Tervuren appartenente a Leopoldo II. Tali reperti erano stati, per così dire, prelevati dal tirannico monarca nel corso del suo esperimento di possesso privato ed esclusivo di uno stato, il Congo belga.
La sezione africana dell’esposizione internazionale ebbe immediatamente una fortissima eco nel panorama artistico mondiale. A venirne colpito fu soprattutto il centro dei principali movimenti artistici dell’epoca, Parigi. Il primo artista documentato a manifestare il suo interesse verso l’art nègre fu Maurice de Vlaminck, nel 1905. Da questo momento in poi questa tendenza si diffuse tra tutti i principali artisti presenti all’epoca a Parigi, da Picasso a Matisse. Il Primitivismo, e cioè l’adozione di alcuni dei canoni che contraddistinguono l’are africana ed in particolare maschere e sculture lignee,  pose così le basi per due movimenti che nacquero proprio in quel periodo, il Cubismo ed il Fauvismo.
In quegli anni Modigliani stava vivendo la sua parentesi da scultore e stava lavorando a stretto contatto con lo scultore rumeno Constantin Brânçusi, il quale aveva sposato con entusiasmo i principi del Primitivismo.
L’ art nègre insegnò ai principali esponenti della storia dell’arte occidentale una straordinaria capacità di sintesi formale, la semplificazione delle figure, ed un’espressività immediata
Questa influenza è molto evidente nei lavori di Modigliani scultore, ed è innegabile che questa fase influenzò in maniera determinante il  processo di maturazione che lo portò, dal 1915 in poi, ad acquisire quel proprio e inimitabile stile che tutti sappiamo riconoscere nei suoi meravigliosi ritratti.
La riduzione dei tratti e delle caratteristiche dell’immagine conduce Modigliani a eliminare tutto ciò che di superfluo esiste in un volto selezionandone gli aspetti essenziali. L’uso numericamente moderato di colori ma la loro applicazione al massimo dell’intensità possibile conferisce un aspetto quasi “digitale” alle sue figure, esaltandone nitidezza e chiarezza espressiva. 
La mia attrazione nei confronti dei dipinti di Modigliani è se possibile ancora lievitata da quando ho scoperto che, seppur attraverso un percorso tortuoso, essi trovano ispirazione nelle culture che abitano le foreste dell’Africa Centrale.
M.L.

sabato 23 luglio 2011

British Museum

Il British Museum è il più importante museo archeologico del mondo e custodisce reperti appartenenti alla storia dell’umanità degli ultimi 5.000 anni. Sono conservati oltre 14 milioni di reperti, di cui “solamente” 70.000 circa sono esibiti nei suoi 20 km di gallerie. Molti di questi oggetti sono stati sottratti con l’inganno o con la forza ai paesi legittimi proprietari nel corso dell’espansione dell’impero coloniale britannico e del Commonwealth. Tuttavia in questo modo questi tesori sono stati consegnati all’eternità e resi accessibili al grande pubblico. In qualche misura ciò riscatta i misfatti del passato. Non è possibile stilare un classifica di oggetti per ordine di importanza, semplicemente perché tutti gli oggetti del British Museum sono stati di eccezionale importanza per i popoli e per le culture che li hanno prodotti. Per cui riporto alcuni dei reperti che più mi hanno colpito e incuriosito, senza pretese né presunzioni di alcun tipo. Nella mia galleria personale di immagini mancano totalmente oggetti dell’estremo oriente (es. India, Giappone, Cina, ecc), perché nei due giorni che abbiamo dedicato alla visita di questo luogo incredibile non siamo riusciti nemmeno a passare per le relative sale espositive. Placca del Benin, XIV-XV sec. Sono state ritrovate circa 1.000 placche come questa, e si trovano attualmente sparse tra i più grandi musei del mondo. Originariamente esse decoravano le colonne del palazzo dell’Oba, il re di Benin e Nigeria. Queste placche sono state realizzate fondendo monili e braccialetti che venivano consegnati dai portoghesi in cambio di avorio, spezie e schiavi. Nella placca sono rappresentati l’Oba (figura centrale), due dignitari e due commercianti portoghesi (in piccolo ai lati della testa del re). Testa di Luzira, Uganda, IX-X sec. Questa figura in terracotta è stata scoperta nel 1929 da alcuni detenuti del carcere di Luzira che erano impegnati in lavori di scavo. Questo oggetto è di enorme importanza perché insieme alle teste di Lydenburgh (Sud Africa) rappresenta l’unica testimonianza nota di arte pre-coloniale dell’Africa Meridionale e Orientale. Statuette Inuit, realizzate in avorio di tricheco. Oggetti contemporanei. Elemento di architrave in calcare, Messico, 600-900 d.C. Questo oggetto, considerato uno dei capolavori dell’arte Maya, si trovava insieme ad altri due pannelli analoghi sopra le porte di una delle strutture del sito di Yaxchilàn, in Chiapas. Il pannello mostra il re Uccello Giaguaro IV che tiene in mano una lancia e sovrasta un prigioniero in ginocchio Serpente di fuoco, Messico, 1.300-1.521 d.C. Il serpente di fuoco, Xiuhcoatl, secondo la mitologia azteca era l’arma fiammeggiante di Huitzilopochtli, il dio della guerra e del sole. Serpente a due teste, Messico, 1.400-1.521 d.C. Il serpente a due teste è un tema ricorrente nelle culture mesoamericane. Il termine Coatl, contenuto nel nome di molte divinità, significa infatti sia “serpente” che “doppio”. Quest’oggetto in legno rivestito di turchesi faceva originariamente parte probabilmente di ornamenti indossati durante cerimonie rituali ed è stato realizzato dagli artisti aztechi per la corte reale. Stele di Rosetta, Egitto, 196 a.C. La Stele di Rosetta è forse il reperto più celebre custodito al British Museum. Si tratta di una lastra di basalto di 760 Kg che riporta lo stesso testo in geroglifico, demodico (il demodico era la grafia del popolo mentre il geroglifico veniva usato solo dagli scribi ed era considerato la grafia degli dèi) e greco. Il testo riporta tutti i benefici portati al paese dal re Tolomeo V Epifane. La stele, scoperta nel 1822, ha permesso la decifrazione dei geroglifici - fino ad allora scrittura incomprensibile – grazie alla presenza della traduzione in greco. Scatola dipinta appartenente al sacerdote di Amun Amenhotep contenente Shabti in ceramica, Tebe, 21a Dinastia 1.070-945 a.C. Gli Shabti erano figure funerarie che costituivano un elemento indispensabile del corredo funebre. In certi casi erano doni delle persone vicine al defunto per guadagnarsi la sua benevolenza dall’aldilà e per garantire i propri servigi anche dopo la morte. Figurine in osso e avorio, pre-dinastiche 4.000-3.600 a.C. Queste statuette si collocano nel periodo Naqada I e rappresentano classi o gruppi sociali. Per realizzare gli occhi della figura centrale sono stati utilizzati lapislazzuli. Tipica sepoltura pre-dinastica, Egitto meridionale, circa 3.400 a.C. Negli stadi iniziali della civilizzazione della Valle del Nilo i siti di sepoltura contenevano il corpo in posizione rannicchiato ed una collezione di oggetti. La conservazione del corpo è avvenuta naturalmente, grazie ad un fenomeno di essiccazione indotto dal contatto con la sabbia del deserto. Pannello assiro, Iraq, 883-859 a.C. Le sale 7-8 del British Museum espongono i bassorilievi ritrovati nel palazzo di Nimrud, in Iraq. Questo mostra la caccia al leone del re Ashurnasirpal II. Per celebrarne l’immenso potere è rappresentato mentre lotta con il leone a mani nude. La caccia al leone era una sport molto praticato dai sovrani assiri, e fu condotto con tale accanimento che portò all’estinzione dei leoni nella regione. Figurina delle Cicladi, 2.300-2.200 a.C. Le celebri figurine cicladiche in marmo provengono da una società che non ha lasciato alcuna testimonianza scritta, per cui gli archeologi hanno potuto formulare solamente teorie sul loro significato. Probabilmente rappresentano oggetti di culto che accompagnavano i loro proprietari fino alla tomba. Fregi, metope e altorilievi del Partenone, Grecia, 447-432 a.C. Questi numerosi reperti sono il simbolo delle appropriazioni che gli inglesi hanno indebitamente operato per riempire il British Museum. La loro presenza all’interno del museo londinese è clamorosa proprio in virtù del fatto che essi rivestivano il simbolo della Grecia antica, il Partenone di Atene. Quando nel 1687 i veneziani, guidati da Francesco Morosini, attaccarono Atene, gli Ottomani si asserragliarono nell’acropoli usando il Partenone come santabarbara. Una palla di cannone veneziana centrò proprio il Partenone e la deflagrazione lo distrusse parzialmente. Nel 1801, l’ambasciatore britannico a Costantinopoli, il Conte di Elgin, ottenne il permesse dal Sultano ottomano di svolgere rilievi sulle rovine del Partenone e interpretò questa licenza a modo suo, asportando tutte le sculture e i reperti che trovò. Ancora oggi è in corso una contesa tra Grecia e Inghilterra per la restituzione della ricca collezione di reperti. Elmo in bronzo di Murmillo (gladiatore), Roma, I secolo d.C. Tesoro di Beaurains, Francia settentrionale, 293-305 d.C. Il tesoro di Beaurains apparteneva ad un ufficiale dell’esercito romano e gli fu donato dall’imperatore stesso. La moneta d’oro riporta il ritratto dell’imperatore Costantino.