lunedì 29 luglio 2013

L'Africa di Moravia

Alberto Moravia ebbe una bruciante e insaziabile passione verso l’Africa. Insieme alla compagna Dacia Maraini visitò, tra il 1962 e il 1979, una quindicina di nazioni africane alcune delle quali furono meta di più di un viaggio. Nei tre volumi Passeggiate Africane, A quale Tribù appartieni? e Lettere dal Sahara sono raccolti i diari compilati nel corso dei loro viaggi. A questi viaggi parteciparono anche altri artisti come Pasolini e Maria Callas. Nei confronti delle popolazioni locali Moravia adottò un approccio di tipo antropologico, descrivendone dettagliatamente tradizioni, abbigliamento e stili di vita. L’aspetto più interessante di          questi scritti risiede nel fatto che Moravia fu in grado di compiere una vera e propria lettura esegetica delle realtà che incontrò, la cui interpretazione lo portò a formulare un tema che ricorre costantemente in tutti i suoi testi. Egli era convinto infatti che l’Africa fosse rimasta preistoria, perché in Africa la storia non si frappone tra l’uomo e la Natura. E la preistoria incute una paura ancestrale nell’uomo.  Secondo Moravia la paura ed il mal d’Africa sono lo stesso sentimento che viene provato ad intensità diversa dagli africani e dagli europei.
Il mal d’Africa è un fascino con un fondo
di paura, che è poi paura della preistoria cioè delle forze irrazionali che l’uomo in tante migliaia di anni è riuscito in Europa a respingere e a dominare e che qui in Africa sono invece ancora invadenti e scatenate. E’ una paura alla quale l’europeo finisce per abituarsi, anche perché egli ha le sue radici altrove e la sua personalità è più solida e meno labile di quella dell’africano; una paura, insomma, angosciosamente piacevole. Ma la paura dell’africano privo di storia, con una personalità vacillante come la luce di una candela, è paura sul serio, spavento senza nome, terrore perpetuo e oscuro. La magia è l’espressione di questa paura della preistoria: essa è tanto laida, tetra, e demenziale quanto il mal d’Africa è afrodisiaco anche se disgregante e annientatore. In realtà la magia è l’altra faccia del mal d’Africa.
Moravia organizzò ogni viaggio animato dall’intenzione di allontanarsi il più possibile dalle più battute rotte turistiche esplorando gli angoli meno noti del continente. La sua straordinaria sensibilità gli consentì di  cogliere l’essenza della realtà africana e di andare oltre alle impressioni superficiali che normalmente vengono espresse dai viaggiatori occasionali. Devo però criticamente ravvisare che non riuscì mai a costruire una relazione paritaria con l’africano, sostanzialmente perché viaggiando in Africa per brevi periodi, con auto privata, interprete e le tasche piene di soldi non è possibile creare un canale di comunicazione realistico con la popolazione locale. Nonostante questo punto di vista "esterno" nei suoi scritti sono raccolte comunque diverse considerazioni illuminanti e condivisibili anche da chi l’Africa la conosce bene.
Perché l’Africa è bella?  Perché è il luogo della terra nel quale la natura ha eretto a se stessa un monumento in cui pare di ravvisare il metodo, l’ordine, il disegno, l’intenzione e la regolarità che sono proprie delle opere d’arte umane. Altrove, questo disegno e questo metodo sono incerti e in parte cancellati dagli uomini. In Africa per motivi storici, geografici e climatici il metodo è stato applicato fin in fondo e il disegno è perfetto […]. Ma nella bellezza dell’Africa non c’è soltanto questo metodo e questa simmetria che sembrano umane; c’è pure un mistero che è senz’altro disumano o se si preferisce extraumano.  E’ il mistero che si è espresso nella religione autoctona dell’Africa, l’animismo, che ci avverte soprattutto e prima di tutto che l’Africa ha un’anima. Tutti gli altri paesi del mondo hanno una storia; l’Africa, lei, ha invece un’anima che tiene il luogo della storia. Cosicché la storia dell’Africa, alla fine quando tutto è stato detto, è la storia della sua anima.

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