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sabato 9 febbraio 2013

La Scalata del Kilimangiaro

GIORNO 1: La via parte dal cancello di Marangu (1860 m slm) dove vengono espletate le formalità per l’accesso al Parco Nazionale del Kilimangiaro e vengono distribuiti i carichi tra i portatori. La camminata del primo giorno si svolge all’interno di una fitta foresta pluviale piena di vita e contraddistinta da un elevato tasso di umidità. Si tratta di un ambiente incantevole e rigoglioso, attraversato da torrenti che gorgogliano e bordato di alberi giganteschi ricurvi e coperti da muschio pendente. Alberi altissimi si alternano a piante più basse e ad arbusti e cespugli in un intreccio di liane e rampicanti. Tra le specie più comuni si trovano il Podocarpus milanjanus, la Nuxia congesta, l’Agauria salicifolia, il Rubus volkensi. Lungo la strada è possibile avvistare primati e roditori che scompaiono tra gli alberi al passaggio dei turisti. La tappa si conclude al rifugio Mandara (2720 m slm), dopo un cammino di circa 3-4 ore. Accanto al vecchio rifugio in muratura sono state costruite diverse capanne in legno, sopraelevate rispetto al terreno. Ogni edificio è composto di due camerette con quattro cuccette ciascuna. Nella costruzione centrale si trovano la sala da pranzo ed un altro dormitorio. All’arrivo è possibile esercitarsi in una passeggiata di circa 15 minuti verso il cratere Maundi. Queste passeggiate sono sempre utili perché consentono di acclimatarsi meglio.
GIORNO 2: La prima parte di questa tappa coincide con l’ultima parte della foresta pluviale, rigogliosa di alberi densamente ricoperti di piante epifite e di un ricco sottobosco di felci. Dopo poche decine di metri si emerge dalla foresta tropicale

sabato 6 agosto 2011

La suggestione mistica della montagna


Dopo una corsa senza ostacoli di mille e duecento chilometri, dalle rive del fiume Mississippi verso il Pacifico, la Grande Prateria settentrionale del continente americano si infrange contro una barriera di rocce che precedono le Montagne Rocciose e sembrano far loro la guardia. Gli americani hanno battezzato queste rocce “The Black Hills”, traducendo letteralmente il vecchio nome che avevano dato loro i Lakota Sioux: Paha Sapa, appunto le Colline Nere.[…]
Al mattino presto, quando il sole che sorge illumina la loro faccia rivolta a est, e al tramonto, quando il loro profilo dolomitico si staglia contro il cielo immenso del West alle loro spalle, da quei monti coperti di conifere e alti duemila metri si spigiona un richiamo profondo e inspiegabile. […]
[…] molto prima che gli scultori di monumenti e i produttori di Hollywood sentissero il richiamo delle Colline Nere, i Lakota Sioux avevano già stabilito che le Paha Sapa erano un luogo sacro, la casa di Uakan Tanka, il Grande Padre Mistero, il Grande Spirito, il Grande Creatore. La casa di Dio.
Sarebbe facile, naturalmente, concludere che quegli uomini ingenui e primitivi si sono lasciati incantare dall’incomprensibile bellezza di una catena di monti scuri che sboccia nel mezzo di una pianura arida, come un miraggio o un presagio delle grandi Rocciose. Ma chi ha visto le colline della Palestina, le alture nude, color ossa e sangue sulle quali sorge Gerusalemme, la città sacra di ben tre grandi religioni, il Cristianesimo, l’Islamismo e l’Ebraismo, sa che tutti gli uomini, e non solo i Sioux, associano istintivamente le suggestioni naturali con il richiamo del soprannaturale. Un’etologa americana, Jane Goodall, che da quarant’anni studia il comportamento dei nostri cugini, gli scimpanzé africani, sostiene, dopo aver visto le scimmie ammutolire estatiche davanti a catene montane e cascate alpine, che la prima idea di Dio dovette nascere negli uomini alla vista di un monte.
Brano tratto dal libro “Gli Spiriti non dimenticano”, di Vittorio Zucconi.