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giovedì 1 gennaio 2015

Tsiroanomandidy: il Centro Arc en Ciel

Il centro Arc en Ciel (arcobaleno) è un istituto che accoglie bambini ed adolescenti che soffrono di malattie psichiche ed handicap fisici. Lo scopo di Arc en Ciel è quello di accompagnare questi bambini sfortunati, fornire loro un’educazione di base, insegnare loro
le basi della comunicazione (leggere e scrivere), un mestiere e soprattutto aumentare la fiducia in sé stessi affinché possano ricoprire un ruolo più dignitoso in seno alla società ed alle loro famiglie.
Il centro, accogliendo ragazzi con problemi fisici e mentali non può definirsi una scuola speciale perché non è possibile seguire dei programmi didattici ordinari.
La maggior parte degli utenti sono dei bambini respinti dalla società e purtroppo considerati una vergogna per le loro famiglie. In questa società infatti è molto

Tsiroanomandidy: Arc en Ciel Center

The Arc En Ciel (Rainbow)  is an educational center receiving  children and young people suffering mental illness and physical disabilities. The principle of this center is to receive
these children and give them support and basic education, train them to a manual work, play with them, teach them and improve their communication (speaking, express). Furthermore, the efforts of the staff is directed to give them self- confidence and to help them finding their place within their families and within society. Arc En Ciel harbors people who have these disorders and disabilities issues, without being a special school because boarders cannot follow properly usual school programs.
Most boarders are children rejected by

Tsiroanomandidy: Le Centre Arc en Ciel

Le foyer Arc en ciel est un foyer éducatif accueilli les enfants et des jeunes qui souffrent des maladies psychiques et des handicapés physiques. La raison d’être du foyer est d’accueillir
ces enfants dans le but de les accompagner, donner à eux l’éducation de base, leur donner l’apprentissage aux travaux manuel, lecture, apprendre la communication (parler, exprimer) et surtout redonner la confiance à eux qu’ils ont belle et bien leur place au sein de leur famille et au sein de la société. Il accueillit les personnes qui ont ces troubles et problèmes d’handicapes non pas une école spéciale car les pensionnaires ne peuvent pas assurer et suivre correctement les programmes scolaires habituelles. 
La plupart des enfants accueillis ici sont des enfants repoussés par la société et la honte pour leur famille. C’est difficiles pour les parents

sabato 9 novembre 2013

Disabilità o Superpoteri?

Alzi la mano chi è in grado di percorrere 4.000 Km in bicicletta. Io no di certo, nemmeno con un anno a disposizione. Norberto De Angelis c’è riuscito in 80 giorni. Nel 2009 questo straordinario sportivo ha attraversato da est a ovest gli Stati Uniti lungo la celebre “Route 66”. Un’impresa notevole per un buon ciclista, un successo eccezionale se si pensa che Norberto l’ha realizzato con la sola forza delle braccia. Norberto è sempre stato uno sportivo sopra la media, arrivando addirittura a militare nella nazionale italiana di football americano. Durante un periodo di volontariato in Africa è rimasto coinvolto in un incidente stradale che lo ha costretto sulla sedia a rotelle. Da quel momento in poi è iniziata una nuova vita che, grazie alla sua straordinaria forza di volontà e ad un pizzico di tecnologia, è stata  ricca di imprese sportive ancor più clamorose delle precedenti. Oggi Norberto è tornato in Tanzania, il paese che è stato teatro del suo dramma personale, per raggiungere un nuovo traguardo. La traversata di questa nazione (750 Km) in handbike prestando la propria immagine come testimonial alla campagna del CEFA “Less is More”, un’iniziativa per la creazione di opportunità professionali per i diversamente abili della Tanzania.
Cliccando su questi link trovate il video di presentazione dell’impresa di Norberto in italiano ed in inglese. Sul sito del CEFA trovate tutte le info relative al progetto “Less is More” e gli aggiornamento relativi al viaggio di Norberto.
Alzi la mano chi desidera diventare una star della musica, famosa ed

giovedì 15 settembre 2011

Less is More


Il CEFA sta implementando a Dar es Salaam un progetto di riabilitazione su base comunitaria, formazione, integrazione sociale e inserimento lavorativo di persone appartenenti a categorie vulnerabili (diversamente abili, malati di HIV, orfani, ecc.). Il progetto è chiamato "Less is More" (Labour, Empowerment and Social Services for vulnerable people). Partner del progetto sono l'ONG CCBRT, la più importante organizzazione in Tanzania in materia di erogazione di servizi riabilitativi per diversamente abili, e RADAR Development, la principale agenzia di collocamento tanzaniana.
Il Progetto sta riscuotendo un notevole successo e numerose sono le persone che hanno trovato un buon impiego grazie a questa iniziativa.
Il video che segue viene trasmesso da televisioni, radio e schermi stradali per sensibilizzare i datori di lavoro sul tema dell'impiego di persone diversamente abili.
Sotto al video riporto la traduzione del testo.


Prima di arrivare nella vostra azienda abbiamo già avuto modo di dimostrare il nostro valore sforzandoci di superare gli ostacoli, passo dopo passo affermandoci come individui, affinando i nostri talenti.
Tutto quello che chiediamo è di fare quello che già abbiamo fatto tutti i giorni della nostra vita.
Abbiamo le capacità e le stiamo mettendo a disposizione di alcune delle migliori aziende della Tanzania.
Quali qualità cerchi in un impiegato?
Determinazione, coraggio, impegno, lealtà?
Una disabilità è solo una delle tante sfide che abbiamo imparato a superare.

martedì 30 settembre 2008

La Casa con le Ali

Nyumba Ali" è una casa che si trova nella città di Iringa, nel quartiere Wilolesi. Il nome è una combinazione della parola Kiswahili "Nyumba" (casa) e della parola italiana "Ali". E quindi "Casa con le Ali". In realtà il nome ha una storia particolare, in cui il fato travestito da dizionario balordo di Kiswahili ha giocato un ruolo fondamentale. Ma è giusto che questo retroscena rimanga un segreto esclusivo delle persone che abitano Nyumba Ali.


La storia della Casa con le Ali ruota intorno ad una coppia bolognese, Bruna e Lucio. Questi due giovani pensionati hanno deciso di abbandonare la loro vita in Italia per trasferirsi in Tanzania, un paese che già conoscevano ed amavano. Qui, forti dell'appoggio istituzionale della Diocesi di Iringa, hanno aperto una casa famiglia dove accogliere ragazze disabili. Come sempre accade, appena data la disponibilità c'è subito stato chi ha risposto. Prima è arrivata Mage, poi Viky e quindi Ageni. Tutte e tre vengono da storie di povertà ed abbandono, e l'essere state accolte in casa con Bruna e Lucio per loro ha significato rinascere letteralmente a vita nuova.
Le ragazze hanno caratteri e qualità molto diverse fra loro. Mage è quella che risulta subito più accogliente ed affettuosa, Ageni è la più riflessiva ed intelligente, Viky è… irresistibile ed ansiosa di (as) saggiare tutti i nuovi arrivati.
A fianco della Casa con le Ali è stata poi costruita una palestra, allo scopo di accogliere durante il giorno altri ragazzi disabili che così possono eseguire esercizi riabilitativi, consumare un pasto e trascorrere il proprio tempo in compagnia ed allegria.


Per tirare avanti la baracca la coppia si è un po’ divisa i compiti: Lucio tiene metaforicamente (e non solo) in piedi i muri della casa, gestisce tutta la logistica, gli acquisti, le manutenzioni ed i trasporti mentre Bruna è l'organizzatrice e colei che cura le relazioni in Tanzania ed in Italia. Come in tutte le coppie navigate e ben assortite ognuno ha il proprio spazio di intervento, sempre però all'interno di un quadro d'insieme concordato e condiviso.
Ad aiutarli ci sono Mpendwa, che svolge lavori di casa ed aiuta nelle rapporti con i tanzaniani, e Zula, che segue la palestra ed i ragazzi che vanno a fare gli esercizi.
La scelta di Bruna e Lucio è stata sposata da alcuni amici italiani che hanno creato un'associazione per sostenere loro ed i ragazzi ospitati. L'associazione è via via cresciuta ed ora vi aderiscono persone di diversa età ed estrazione sociale. La casa è costantemente visitata da amici e soci, che tornando in Italia offrono il loro contributo per aiutare l'associazione.
La disponibilità e l'accoglienza che immediatamente si respirano nella Casa con le Ali hanno comportato anche un effetto forse imprevisto nei piani iniziali, ma che ha conseguenze non trascurabili.
La Casa con le Ali è divenuto il punto d'incontro di tutti i volontari e missionari italiani che ruotano intorno ad Iringa, e sono molti. Qui si raccontano storie, si condividono esperienze, si ascoltano novità che coinvolgono il lavoro di tutti, si costruiscono legami e relazioni con persone impegnate nei settori dello sviluppo, della cooperazione e della carità.

Quello che veramente rende speciale la storia di Bruna e Lucio è che tratta di due persone "normali". Essi hanno scelto di vivere in un luogo oggettivamente bello (Iringa e la Tanzania in generale) e di condividere il loro tempo, le loro capacità ed il loro denaro con persone meno fortunate di loro (e di tutti quelli che leggono queste righe). Non sono persone votate al martirio o al sacrificio, ma solo persone che hanno scelto di vivere nel miglior modo che conoscevano e di cercare la propria felicità in una maniera insolita. Non serve avere vent'anni per decidere di cambiare la propria vita e di compiere una scelta coraggiosa; la stessa scelta potrebbe farla chiunque.
Questa storia di normalità è un motivo di speranza per tutti quelli che hanno a cuore i problemi che affliggono l'Africa, per quelli che sono preoccupati del clima di indifferenza che regna nei paesi "sviluppati", e per tutti quelli che serbano in cuor loro il desiderio, un giorno, di cambiare la propria vita e di renderla degna di essere raccontata.

Per chi volesse saperne di più: http://www.nyumba-ali.org/

M.L.

sabato 6 settembre 2008

Tra gli Angeli di Wajir

Caldo opprimente, strade sabbiose sulle quali è persino difficile camminare, vegetazione rada e spinosa. Se la vita nei villaggi africani a cui siamo abituati sembra difficile, questa appare addirittura impossibile. Dove questa gente tragga acqua e alimenti è misterioso.
In questo paesaggio riarso dal sole, migliaia di famiglie conducono una vita normale fatta di gesti semplici e quotidiani; non è difficile comprendere come mai la gente del deserto abbia sviluppato un carattere ed un fisico così coriacei.
I somali sono gente dura e orgogliosa, inasprita da un credo fondamentalista e intransigente. Essi popolano fin dai tempi antichi l'intero nord-est del Kenya, regione semi-desertica morfologicamente più simile al nord-Africa che non all'Africa sub-sahariana.
Wajir si trova ad un centinaio di chilometri dal confine somalo, mentre sono almeno trecento i chilometri di pista sabbiosa e strada disagevole che la separano da Nairobi. Questo è uno dei motivi per i quali Wajir possa essere considerata più una città della Somalia meridionale che non del Kenya settentrionale.
Wajir è senz'altro un luogo di frontiera, lontano da ogni rotta del turismo ed evitato dai keniani stessi, nel quale la sfida maggiore è il confronto con una cultura complessa e poco propensa al dialogo.

Avvenimenti tragici accaduti in Somalia durante la nostra permanenza hanno fatto salire la tensione e ci hanno indotto ancor più a prestare attenzione ad ogni nostro minimo gesto.
Essere cattolici in questi luoghi è assai complicato: ogni religione diversa dall'Islam viene guardata con sospetto e col timore che possa minare lo status quo. Diverse chiese sono state cacciate da Wajir, "colpevoli" di essersi prodigate in opere di evangelizzazione e di aver provocato la conversione di qualche somalo. Ciò non è tollerato, e l'espulsione della comunità religiosa viene accompagnata da atti violenti ai danni di tutte le chiese presenti, cattolici compresi. Un crocefisso privato delle braccia sopra l'altare della Chiesa cattolica testimonia quanto sia delicata la presenza dei cattolici a Wajir.
Ci ha ospitati Pina Russo, missionaria laica romana che ha dedicato gli ultimi otto anni della sua vita a favore della comunità locale. In accordo con la diocesi di appartenenza, la diocesi di Garissa (otto ore di autobus da Wajir!), Pina svolge la sua opera di volontariato senza fini di evangelizzazione, con spirito di pura e disinteressata carità. Questo indirizzo, da sempre portato avanti fin dai tempi di Annalena, ha permesso alla Chiesa cattolica di essere ben accetta e accolta con riconoscenza dalla popolazione.
L'importanza del lavoro che viene svolto tra mille difficoltà ogni giorno a Wajir è proprio questa: costruire un ponte di pace e di dialogo con il mondo musulmano, testimoniando con le opere concrete i valori in cui crede la nostra civiltà, evitando le parole e i giudizi che, se espressi con leggerezza, sono in grado di provocare incomprensioni e risentimento.


Forti del favore che i cattolici hanno saputo costruirsi nel corso degli anni, siamo stati accolti da tutti i somali che abbiamo incontrato con grande cordialità e amicizia, addirittura invitati ad entrare nelle capanne e a sedere al loro fianco.
In questo angolo remoto del Kenya nel corso degli anni sono state realizzate con successo diverse strutture: una clinica per la cura della tubercolosi ed un "villaggio" dove i pazienti possono trovare alloggio per la durata della terapia, una scuola per sordomuti, una scuola per giovani ragazze somale, un centro per la riabilitazione dei bambini disabili, un centro di accoglienza per anziani. L'impronta che Annalena (e chi ha lavorato insieme a lei) ha lasciato qui è molto forte, e molte persone incontrate la ricordano con commozione, rispetto e gratitudine.
Ma non sarebbe giusto parlare di Wajir coniugando ogni verbo al passato.Gli anni sono trascorsi, alcune strutture sono state chiuse, altre sono radicalmente cambiate nell'impostazione generale, altre ancora hanno subito vicissitudini pur mantenendo inalterato lo spirito di carità, condivisione e testimonianza.E' questo il caso del Centro di Riabilitazione, un luogo dove ancora oggi vengono compiuti piccoli miracoli quotidiani.



Nella società somala si riscontra uno dei più alti tassi di disabilità infantile registrabili in qualunque altra parte dell'Africa. Numerose sono le motivazioni: denutrizione, consanguineità, mutilazioni genitali, mancanza di assistenza sanitaria al parto. Quattro figli di cui tre ciechi, tre figli con malformazioni alle gambe… sono solo esempi di situazioni reali di famiglie che abbiamo visitato insieme ai volontari del Centro di Riabilitazione. Oggi l'attività del Centro è portata avanti infatti da giovani volontari kenyani che hanno maturato competenze in ambito ortopedico, infermieristico, fisioterapico. Joseph, Viola, Betty, Fatuma, Rose e Joel seguono e svolgono riabilitazione quotidiana nel Centro a numerosi bambini, visitano nei villaggi di appartenenza quelle famiglie che non sono in grado di portare i loro figli fino a Wajir, costruiscono attrezzature per la deambulazione, distribuiscono alimenti alle famiglie che non sono in grado di procurarseli, somministrano medicinali a bambini che altrimenti morirebbero di banali malattie. Questi ragazzi, senza fondi che non provengano da donazioni di privati, lavorano volontariamente in una maniera estremamente professionale, riempiendo di amore e compassione ogni loro atto. Pina poi assicura al Centro di Riabilitazione una preziosissima opera di coordinamento e supervisione.
Siamo stati testimoni di drammatiche realtà alle quali era difficile anche solo assistere come osservatori. Il lavoro di questi volontari ci ha colpiti profondamente, e l'impegno che ci siamo presi è quello di realizzare un libro fotografico con la vendita del quale contribuire a sostenere il loro operato.
Ciò che è stato realizzato a Wajir in passato è miracoloso. Ma la sabbia del deserto ed il tempo rischiano di cancellare ogni cosa. In quei luoghi i bisogni sono ancora tantissimi e chi opera ogni giorno per farvi fronte va sostenuto con impegno e costanza, perché nulla di ciò che è stato e che ancora vive vada perduto.
(testo scritto nell'Ottobre 2006)

M.L.